Non chiamatele populiste,non dite “voto di protesta”,non invocate leggi maggioritarie. Marine e Marion Le Pen hanno stravinto il primo turno delle regionali francesi. Nella regione di Marsiglia e Nizza, Marion, 26 anni, nipote prediletta del vecchio Jean Marie, ha superato il 40%. Marine ha fatto lo stesso a Lille, nel nord una volta industriale ora agricolo. Tirando le somme, il Front National è primo in 6 regioni su 13. Furioso, Nicolas Sarkozy, che guardava a questo voto come a un trampolino di lancio per le presidenziali, ha deciso di mantenere tutti i suoi candidati al secondo turno (per legge sono ammessi tutti coloro che hanno superato il 10% dei consensi). O la va o la spacca: o rientrano voti “in libera uscita” dalla destra verso l’estrema, oppure tracimi pure l’ondata nera delle Le Pen. I socialisti ritirano i loro candidati a Marsiglia e a Lille (per non favorire zia e nipote) e pure a Strasburgo. Mossa politica, per  inchiodare, in vista delle presidenziali,  Sarkozy al suo ruolo di apprendista stregone.

É finita la politica del novecento, scrive Cesare Martinetti per la Stampa. Più precisamente -direi- è finita la politica della seconda metà del novecento, caratterizzata, in Europa, dall’obiettivo di tenere lontano dai governi nazionali sia i partiti comunisti che le forze nostalgiche dei fascismi. Era questo l’intento del coup d’état permanente, come Mitterrand chiamò la rivoluzione di Charles De Gaulle e la nascita della Quinta Repubblica. Mirava a questo la conventio ad excludendum della nostrana Prima Repubblica e tutto il parlar di riforme nella Seconda. Spiega Martinetti che “i voti al Front national arrivano in gran parte dalle classi popolari, molti dei nuovi elettori frontisti hanno votato comunista per anni. È il voto dei delusi, dei dimenticati, è il voto di un paese profondo al quale la politica non sa più parlare. È un voto contro le élites politiche che giocano una piccola battaglia di apparati. È un voto contro la tecnocrazia gelida di Bruxelles da dove arrivano soltanto diktat che la gente traduce in perdita secca nella propria quotidianità”.

Aggiungo: è un voto sovranista,  che crede – o si illude- di poter restaurare il potere della nazione francese, di riscattare la grandeur gollista, tradita dal ruolo ancillare (di Sarkozy come di Hollande) nei confronti della Germania di Frau Merkel.  Perciò Marine Le Pen dice oggi “siamo noi i veri repubblicani”. Sarkozy può sperare che l’effetto Le Pen si sgonfi domenica prossima, davanti alla scelta per i governi regionali. Hollande spera, con la svolta che ha impresso alla sua presidenza dopo il 13 novembre, di poter ancora vincere le presidenziali, quando al ballottaggio si troverà un solo avversario. Ma niente né in Francia né in Europa sarà più come era prima.

Perché non parlo di populismo, come fanno  Stefano Folli e Cesare Martinetti? Perché non metto avanti la paura dei francesi dopo gli attentati, come fa Bernardo Valli? Il termine populismo -sia quando lo usa Marco Revelli a proposito di Renzi, sia quando lo usano tutti gli altri parlando di Salvini o di Grillo- vuole evocare una provvisorietà, una congiunturale consonanza tra umori popolari e politica demagogica. Non è andata così.  Il Front si è rafforzato di elezione in elezione, ha convinto milioni di francesi che le differenze destra-sinistra cedono davanti all’essere (destra come sinistra) parte di una stessa casta, che mette gli affari al primo posto  ed è diretta da Bruxelles e Berlino. Paura degli attentati? Troppo semplice, troppo poco. Nella Francia profonda vedo riemergere da anni lo spirito della Vandea, la ricerca delle radici medievali, della crociata nazionale di Giovanna d’Arco e di quelle -in Terra Santa- di Luigi il Santo. É una Francia anti illuminista, che detesta Parigi e le sue luci. Certo non tutti gli elettori del Front sono dei crociati, originari o convertiti come Houellebecq. Molti -dice alla Stampa lo storico Le Bras- “hanno scelto la lotteria, conoscono  i rischi  ma ci provano”.

La forza che combatte contro le tre grandi diseguaglianze: di potere, di sapere e di reddito. Questa “è sempre la sinistra”, scrive oggi Massimo Salvadori su Repubblica. Davvero? Hanno più potere i senza potere, più sapere i figli di immigrati o di italiani poveri che si acconciano in scuole di periferia, più reddito i giovani senza reddito, da quando Matteo Renzi governa in Italia o Manuel Valls in Francia? É questo -aver combattuto le disuguaglianze- che si riterrà nei libri di storia della Terza Via e di Tony Blair? Non ne sono sicuro.

Un caffè doppio tutto francese.  Solo qualche tratto, infine, per dire che il “successo” dei banchetti nel week end (“380mila persone, il Pd per una volta unito”) è già evaporato di lunedì. Bersani dice al Fatto che Renzi non é riformista e che ha salvato il giaguaro (Berlusconi). Cuperlo dice alla Stampa che “il doppio ruolo di Renzi (premier e segretario) non funziona”. Pisapia liquida i sondaggi che darebbero Sala vincente a Milano: “Hanno sbagliato in passato molti calcoli. Anche nel mio caso”. Infine, occhio alla mia Palermo: “La bussola di ogni cittadino di questo Paese, in un cammino comune al di là degli steccati, deve essere la Costituzione della Repubblica italiana”. Lo ha detto un vescovo, Corrado Orefice appena nominato da Francesco. E ha citato Peppino Impastato e Dossetti. Una rivoluzione; vera.

 

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