Il sussulto del Caimano. Molla Bertolaso, respinge Salvini e Meloni, sceglie Marchini a Roma e spera che voti per lui la sinistra degli affari, offre un patto a Casini ed Alfano. “Prove di centro destra moderato”, scrive la Stampa: “il Campidoglio diventa laboratorio nazionale”. Ezio Mauro, per Repubblica, ridimensiona la portata della “mossa”. Titolo: “la scappatoia del funambolo”. Tesi: “è probabile che l’ex Cavaliere si limiti a inseguire i suoi elettori in libera uscita, incapace ormai di guidarli e senza una meta”. Massimo Franco, Corriere, scrive che si tratta di una “nemesi (ndr: punizione vendicatrice) anti populista”. Le reazione di Salvini e Meloni, in effetti, sono state durissime: Berlusconi vuol favorire Renzi, punta a togliere voti alla Meloni per far andare al ballottaggio, insieme alla Raggi, il candidato del Pd Giachetti! Salvini minaccia di non allearsi con Forza Italia alle politiche. Berlusconi replica: verranno a Canossa. Personalmente osservo che il sistema politico si sta ristrutturando: nazionalisti anti europei (Salvini, Meloni) contro liberisti moderati (Berlusconi, Marchini) contro moralizzatori anti sistema (Movimento 5 Stelle) contro sinistra neo liberista e di potere (Renzi) contro sinistra socialdemocratica e movimentista (Fassina, Airaudo). Secondo me, se tale restasse la geografia politica, nessuna di tali componenti sarebbe in grado di accaparrarsi più di un quarto dei consensi e calerebbe ancora la partecipazione al voto. Le riforme Renzi-Boschi, poi, renderebbero caotico il risultato elettorale. Perché è vero che con le nuove regole come “alla fine uno deve vincere per forza”, ma chi? La scelta del sindaco, del governatore, del premier dipenderà sempre più dal caso, dall’umore momentaneo di un piccolo numero di elettori, dalle promesse demagogiche a cui si vuol credere, persino dal voto di scambio. “Il problema è che aumenta l’incertezza su chi vincerà e come”, scrive bene Massimo Franco.

Nessuno mi corrompe e non corrompo nessuno. Comincio a sentirmi solo. Altan lo racconta così lo stucchevole minuetto sulla corruzione che allieta i giornali in edicola. Mattarella ha detto che è “più grave la corruzione dei politici”. Per carità, il presidente della Repubblica ha le carte in regola: dall’inizio del suo mandato sostiene (inascoltato) che la lotta alla corruzione, alle mafie, all’evasione fiscale dovrebbe essere la priorità delle priorità. Ma detto così, sempre sotto voce, come se il Presidente parlasse in generale, del mondo e non dell’Italia di oggi, omettendo di sottolineare la banalizzazione del voto di scambio, delle pressioni dei petrolieri sul governo, le dichiarazioni dei politici inquisiti che invocano, come alibi, la necessità di rompere lacci e disintermediare, detto così, il monito di Mattarella lascia il tempo che trova. Diventa un rumore, come le frasi pronunciate ieri da Renzi, da Napoli con a fianco De Luca. Bisogna “tagliare le gambe” ai corrotti, ha detto. Eliminare poche mele marce. Un modo per sostenere – proprio come facevano democristiani e socialisti alla vigilia di tangentopoli – che la pianta del suo partito e del suo governo è sana e rigogliosa, non invece ormai impastata col potere e con gli affari che per definizione non puzzano. O se puzzano di merda – come ebbe a dire Rino Formica – è inevitabile che così sia.

Lavoro sporco. Il manifesto, soltanto il manifesto, si accorge in prima pagina delle manifestazioni e degli scontri con la polizia in corso a Parigi contro il jobs act di Hollande. Frena la crescita USA, scrive il Sole24Ore, Come previsto, aggiungerei. Lucrezia Reichlin spiega al Corriere – io l’ho fatto ieri e non mi ripeto – che Weidmann ha ragione di preoccuparsi del debito dell’Italia e della Grecia e della scarsa remunerazione del risparmio per via delle scelte della BCE. Servirebbero, scrive, regole chiare e condivise sulla ristrutturazione dei debiti nazionali e, intanto, un piano transitorio per non strozzare i paesi più esposti. 5 anni e mezzo con la disoccupazione sopra il 20%, El Pais parla della Spagna, paese che ha seguito con diligenza le regole del neo capitalismo liberale, di conseguenza lodato da economisti e politici europei per la ritrovata crescita del PIL, ma che andrà a votare, dopo sei mesi dall’ultima volta, con un disoccupato su 5.

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