L’emendamento è mio. Matteo Renzi vuol mettere fine al logoramento del suo governo e a possibili conflitti interni, con la Boschi che sembra preoccupata che qualcuno non la voglia usare come capro espiatorio. Le opposizioni presenteranno mozioni di sfiducia ma la minoranza Pd non le voterà e così neppure NCD, né Ala, la pattuglia dei volenterosi mercenari guidati da Denis Verdini. Partita chiusa. Per far cadere il governo bisognerebbe convincere la pubblica opinione e una parte della maggioranza che il gioco di Renzi non vale la candela. Che favorire colossi del petrolio, concedere ai costruttori libertà di speculare, regalare incentivi a pioggia agli imprenditori, elogiare un manager che, come Marchionne, è scappato all’estero, non ci darà la ripresa che il governo promette, capace di dare lavoro ai giovani e al ceto medio la fiducia di spendere. Servirebbe una politica, una prospettiva, ma le destre rantolano, ai 5 Stelle non interessa che il governo cada ora, meglio aspettare il ballottaggio nel lontano 2018, Sinistra Italiana non è che una promessa: i giornali lo sanno.

Il piano di Total sul petrolio lucano. Il titolo scelto dalla Stampa spiega bene, però, le ragioni per cui il caso non possa considerarsi risolto e perché mai i Pubblici Ministeri intendano sentire Guidi e Boschi e non Renzi. Dalle registrazioni telefoniche e dalle e-mail risulta che la Total aveva messo in piedi un vero e proprio comitato d’affari, che i mediatori – “il marito” Gemelli, il palermitano Cobianchi – avevano organizzato un incontro al ministero tra l’amministratrice delegata di Total, Nathalie Lumet, la ministra Guidi e il sottosegretario Pd, Simona Vicari. In seguito la Guidi chiedeva, ansiosa, a Gemelli se avessero fatto delle “assunzioni” nei comuni coinvolti dall’insediamento petrolifero, Gemelli e Cobianchi si ripetevano più volte che la Boschi era con loro. Sono circostanze che configurano ipotesi di reato, al contrario dell’assunzione di responsabilità del premier, a oggi, tutta politica. E la Stampa pubblica un servizio di Guido Ruotolo che mostra, con le carte di Woodcock, allora PM a Potenza, come “il comitato d’affari” sedesse da molti anni: tra il 2007 e il 2008 avrebbero anche falsificato una gara d’appalto. Reati veri ma impuniti, per via della prescrizione.

I dubbi di Renzi sulla linea dei PM, titola il Corriere. E la retroscenista Meli racconta che, secondo il premier, l’accusa vuol mettere sotto pressione Boschi “per far perdere a Renzi il referendum”. Con il caso aperto, cioè, più gente potrebbe andare a votare, sconfessando la linea astensionista del governo. Temo, tuttavia, che almeno in questo caso il retroscena non colga le vere ragioni del turbamento del premier. Vediamo: nell’intervista alla Stampa la M.E. Boschi ha accusato non meglio precisati “poteri forti” di volerla danneggiare. Renzi dall’Annunziata ha risposto di “non credere ai complotti fin dai tempi di Aldo Biscardi”. Un modo per deviare gli strali di Maria Elena indirizzati contro Bankitalia, BCE e Padoan, responsabili, a suo giudizio, di aver montato accuse ingiuste contro il suo amato genitore per Banca Etruria. Boschi teme di essere convocata e mette le mani avanti : la Guidi non mi ha mai chiesto di sostenere l’emendamento, dice, poi aggiunge di “non aver mai saputo del “marito” Gemelli, e precisa che la scelta dell’emendamento è di Palazzo Chigi (la Total avrà contattato la Manzione o Lotti?). Una difesa che non convince il Fatto – “Le mail inguaiano la Boschi” – ma che preoccupa Renzi, che di Maria Elena non può fare a meno visto che la Grande Riforma porta il suo nome. Perciò offre proprio corpo: “i PM interroghino me!”.

La sfida solitaria dello sceriffo. Assumere il ruolo di sceriffo solitario – scrive Stefano Folli per Repubblica – va bene in casi eccezionali. Ma Renzi mostra la tendenza a entrare in questa parte fin troppo spesso: che si tratti del referendum anti-trivelle o di quello costituzionale; che si parli di voto amministrativo o di scenari politici. Talvolta lo sceriffo solitario si palesa per rimediare a errori precedenti, dovuti a leggerezze o distrazioni nel gestire quello che accade nel governo o ai suoi margini. Se Renzi seguisse l’attività dei suoi collaboratori “a monte”, ossia prima che la matassa s’ingarbugli, dopo non ci sarebbe necessità per lui di addossarsi tutto il peso del mondo, con un novello Atlante”. Tempa Rossa la trionferà, scrive Giannelli, disegnando Renzi che dice “l’emendamento sono io”.

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