Abbottonatissima, Virginia Raggi schiva le domande del Corriere. Minimizza ma non nega i contrasti tra i 5 Stelle – e come potrebbe? – né esclude che siano stati commessi errori. Non insulta i collaboratori che aveva scelto e che l’hanno abbandonata, ma fa intendere di sentirsi sollevata ora che non li ha più intorno. Si vanta della sintonia con Grillo ma non svela cosa Beppe gli abbia scritto nel messaggio di sostegno. Quanto a Roma e ai suoi problemi, si limita a vantare l’intervento estivo per superare “il caos – l’emergenza – rifiuti”. Se fossimo negli Stati Uniti, si direbbe che Virginia cerchi di minimizzare il danno, senza mostrarsi scossa né annunciare svolte. Intanto su Repubblica Ilvo Diamanti scrive che per i 5 Stelle la crisi romana potrebbe rivelarsi salvifica se “costringerà il M5S non solo a “normalizzarsi”, ma a “politicizzarsi”. A diventare – e ad accettare di essere – una forza politica, e non solo antipolitica. Una possibile alternativa di governo”. Diamanti prevede che “M5S dovrà strutturarsi, formare gruppi dirigenti, stabilire contatti e collegamenti con la società, con i circoli e gli ambienti intellettuali e “specialisti”. Così facendo, cioè strutturando in modo non effimero un terzo polo, Partito non più Movimento, i 5 Stelle potranno “evitare il ritorno alla storica anomalia. Il bipartitismo (bipolarismo?) imperfetto, che ha accompagnato l’Italia nel corso del dopoguerra: l’alternativa senza alternanza tra comunisti e anti comunisti” e poi “tra anti berlusconiani e anti comunisti”. In questo schema, la novità delle riforme Boschi-Renzi mi pare già archiviata come un ferro vecchio. I poli dovranno dialogare, come sta avvenendo in Spagna, dove Sanchez ha appena ottenuto il mandato dal Psoe per trattare con Podemos e Ciudadanos e cercare un’alternativa al Pp di Rajoy.

Balzo dei populisti, scrive la Stampa. Colpo alla Merkel, che nel suo Land, il Meclemburgo-Pomerania, ex Germania dell’est, vede la CDU arrivare solo terza, superata dalla destra della Afd. Vincono i socialdemocratici, ma perdendo ben 5 punti percentuali. Perché? Come mai se, come tutti ormai scrivono, la Germania sta meno peggio degli altri paesi europei, avendo incassato più vantaggi che costi per la moneta unica, la Merkel paga un prezzo così alto? Innanzitutto perché la crisi degli establishment che fanno politica non risparmia ormai nessun paese. E poi perché Angela Merkel per molti anni ha candidamente raccontato agli elettori che i tedeschi stavano facendo chissà quali sacrifici pur di tenere in Europa e nell’Euro paesi come Italia, Spagna e Grecia. Che persino la Francia si manteneva in piedi solo perché poteva aggrapparsi alla locomotiva tedesca. Ha detto questo per confortare la propria leadership (che io definisco “dorotea” e Tocci chiama “populista”), per affermare cioè l’immagine di una statista, inevitabilmente europeista – quale altra prospettiva avrebbe altrimenti la Germania dopo aver perso due guerre in Europa? – ma un’europeista molto tedesca, cioè capace di sostenere nel modo più efficace l’interesse particolare della Germania. Così facendo Angela ha tuttavia creato il prodotto politico che ora rischia di seppellirla: Frauke Petry, una nuova Merkel che però dice sempre il contrario di quel che Angela dice. Ma con il medesimo tono pacato, mostrando un analogo germanico e popolaresco buon senso. Segnalo che questa signora, Frauke Petry, non è temuta in Germania come in Francia si teme Marine Le Pen. Intellettuali, anche di sinistra, non la considerano xenofoba, userebbe la paura del migrante ma per ragioni strettamente politiche. Thomas Brussig, autore di Ostalgie, si spinge a dire a Repubblica che la Petry non è un “rischio per la democrazia”. Insomma, avremmo davanti una possibile continuatrice del populismo della Merkel ma in un’accezione più marcatamente di destra e nazionalista. Naturalmente l’Europa che conosciamo non reggerebbe a una tale mutazione. Ma, d’altronde, a chi importa dell’Europa?

Il sorriso di Maria Elena e la bile di Massimo. Un mio amico caro, che fu protagonista della contestazione di Lama nel 77 e ora confida nella rottamazione renziana, mi ha chiesto, con un pizzico di fraterna irrisione, che possibilità possa mai avere il No referendario se il suo campione è il solito D’Alema. Molti (di sinistra o ex di sinistra) sceglierebbero alla fine Renzi, piuttosto che il protagonista dei troppi errori e delle tante giravolte della politica post comunista. Sì, è possibile che ciò accada, gli ho risposto. Ma non si può impedire a D’Alema di dire quel che pensa: è un cittadino italiano e come tutti noi deve essere libero di far politica, di dare – come direbbe – anche il suo “contributo”. Né è colpa di D’alema se l’intero gruppo dirigente post comunista – dopo essersi aggrappato per decenni al potere, frustrando ogni anelito di novità nella sinistra – si sia ora ridotto all’irrilevanza. Dopo tutto “Baffino” – prima scegliendo la terza via e il semi presidenzialismo, poi appoggiando la guerra nei Balcani e varando le privatizzazioni, ancora dopo riscoprendo la socialdemocrazia per verificarne a breve l’inevitabile crisi, infine proponendosi come padre nobile e consigliere di Renzi, ma sfidandolo con rabbia subito dopo averne subito lo sgraziato rifiuto – ha percorso l’intera via crucis degli ex comunisti italiani. Chi più lo odia cerca di attribuire ai suoi errori e alla sua celebrata arroganza l’intera responsabilità di una sconfitta che è stata invece comune. Meglio la Boschi? Riconosco alla ministra molte qualità, ma sta dalla parte sbagliata e non ha il coraggio di uscirne con la mossa del cavallo, come avrebbe detto Vittorio Foa. Così balbetta e il sorriso diventa una maschera. Ieri ha sentito Monti paragonare, correttamente, il sistema costituzionale che uscirebbe dalle “riforme” a quello che vige in Grecia. Maria Elena si è imbufalita: che Grecia d’Egitto, noi pensiamo alla Germania! Ma ci fa o c’è? In Germania la legge elettorale è proporzionale, il Bundesrat non ha consiglieri regionali “eletti o indicati” da chissà chi, ma rappresentanti dei Länder, che portano a Berlino il potere (talvolta di veto) delle autonomie locali. È giovane e sorride, ma già mente come un politico consumato.

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