Il giorno più lungo. Titolo identico per Repubblica e Stampa. Il giorno più lungo arriva ogni anno con il solstizio d’estate. Fu definito il giorno più lungo il 6 giugno 1944, quando le truppe alleate sbarcarono in Normandia. Questa volta i partigiani del “Leave” britannico vorrebbero fare il percorso a ritroso, tornare indietro da quello sbarco. Gli ultimi sondaggi, anticipati summo cum gaudio da Enrico Mentana che pregusta “la maratona” di stasera sui risultati del referendum, accrediterebbero il “Leave” di nuovo in vantaggio sul “Remain”. Il manifesto pubblica la foto di due balconi contigui, l’uno con striscione e cittadino britannico a favore del sì, l’altro uguale ma del no. Sfida strapaesana, birra, lazzi, battute e inevitabili scommesse. Ho scritto più volte che Cameron ha fatto da apprendista stregone, promettendo questo referendum ha finito con il dividere la destra di strada da quella della City. Per onestà devo ammettere, tuttavia, che c’è una logica in quel che è già successo e che oggi succede. Scrive Enzo Moavero, a pagina 31 del Corriere, che a decidere la sorte dell’Europa saranno in realtà gli elettori tedeschi quando voteranno nel 2017. Elettori coccolati da leader populisti (come la Merkel) e perciò disinformati: tanto che una maggioranza fra loro crede che la Grecia abbia avuto dall’Euro più vantaggi di ogni altro paese. Ecco, gli inglesi hanno voluto battere i tedeschi sul tempo, come la flotta di Francis Drake seppe fare con l’Invincibile Armata spagnola. Decidiamo noi! Erano entrati in Europa a rimorchio di un processo unitario avviato dall’Italia e portato avanti da Germania e Francia. Erano entrati come quinta colonna degli Stati Uniti, favorevoli ad allargare il libero mercato ma contrari alla nascita di un soggetto politico ed economico. Ora gli inglesi diranno la loro. Qualsiasi cosa decidano, l’Europa dei piccoli passi, l’Europa senza anima che pretendeva di farsi senza dire, che si univa come per gioco, aggiungendo una ad una le tessere di un puzzle, quell’Europa è finita.

C’è un giudice (non a Berlino ma) al Palazzaccio. La Cassazione non solo ha respinto il ricorso della Procura contro una sentenza di Melita Cavallo che concedeva a una donna omosessuale l’adozione della figlia della partner, ma ha stabilito che il benessere del bambino debba essere il criterio guida per decidere l’adozione. Che il giudice non possa, dunque, statuire sulla base dell’idea che ha di famiglia e nemmeno di quel che si evince in una sola legge, la Cirinnà modificata da cattolici di destra e del Pd. Irrilevanti le stupidaggini gridate in Parlamento. E si capisce. Vuoi davvero togliere a un bambino, che vive bene con genitori dello stesso sesso, il diritto di chiamarli entrambi mamma o papà? Puoi farlo, ma devi scrivere sulla pietra che il rispetto di certi “valori”, del matrimonio indissolubile tra uomo e donna, della famiglia patriarcale, della fede in Dio onnipotente, vengono prima del diritto e dell’amore. Devi tornare al tempo di Galileo, abbattere la statua di Giordano Bruno nel campo deve fu bruciato. Fino allora, il giudice deciderà secondo il diritto, che prevede l’uguaglianza di ogni bambino, in qualunque famiglia egli cresca, e tutela in primis il suo benessere.

Accerchiato dal silenzio del partito. Così Massimo Franco racconta la condizione del Renzi dopo la batosta dei ballottaggi. Il silenzio si spiega con l’imbarazzo. D’Alema ieri ha sfidato le correnti: voterò no al referendum. Tornare indietro dalle riforme (costituzionale ed elettorale) è infatti il solo modo per emendare il renzismo, per tornare indietro dalla personalizzazione giacobina introdotta, per smentire l’idea che tutto si possa fare dalla cabina di regia di Palazzo Chigi, relegando il partito di maggioranza al suolo di ufficio stampa e propaganda del governo. Donne e uomini diversamente renziane, che alla fine non hanno fatto mancare i loro voti, ora non sanno che fare. Cercano capri espiatori: Marianna Madia (Repubblica) chiede la testa di Orfini, altri quella della Serracchiani, tutti desiderano che Renzi faccia un passo indietro, ma non dicono quale passo né come farlo. Il declino del rottamatore è nelle cose, l’alternativa nel Pd non si vede. D’altra parte questa modestia dinanzi alle necessità della crisi, è comune a tutti i partiti socialisti. Le Monde oggi titola: “Manifestazione proibita, Valls sceglie la prova di forza”. Falso! Il giornale era appena andato in stampa, che Hollande dava il contrordine, suonava la ritirata. La Cgt e i sindacati anti jobs act potranno sfilare, stanno sfilando oggi a Parigi, sia pure lungo un percorso ridotto. Persino Marine Le Pen si era pronunciata per il diritto di manifestazione. Hollande e Valls sono riusciti a saldare protesta sociale e battaglia per i diritti. Nel tentativo, maldestro, di cambiare verso a una pubblica opinione che non capiscono, perché sembra appoggiare un sindacato minoritario e sopportare giovani violenti. Meglio del nulla della Terza Via.

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