Si cerca un bottone con su scritto reset. Disperatamente, probabilmente invano. Così 2milioni di cittadini britannici vorrebbero rifare il referendum. Si attaccano a una norma che lo prevederebbe, quando i votanti non fossero stati il 75% degli aventi titolo e la maggioranza non avesse raggiunto il 60%. Ora Londra, che voleva restare europea, si lagna dello schiaffo subito ad opera delle campagne inglesi, gli scozzesi rimpiangono di aver perso il referendum per l’indipendenza e ne chiedono un altro, gli irlandesi del nord dicono a chi ha votato Leave “volete dividere di nuovo la nostra isola!”. In Europa è lo stesso: tanti rimpianti e pochi programmi. Accompagnare in fretta Londra alla porta (così vuole la Francia) o scegliere un divorzio lento e consensuale (Germania)? Il Corriere titola: “L’Europa già divisa su Londra”. Ma a guardare oltre i titoli di testa, è la voglia è di premere su reset che trionfa. Il sogno di ritrovare una guida forte, un direttorio dei tre paesi che, insieme, possiedono il 70% dell’argenteria dell’Unione: Germania, Francia, Italia. Se ne parla da anni, non si è mai fatto. Per la volontà di presidenti della Commissione come Prodi (al vertice di Nizza) e per l’opportunismo nazional-populista di politici al governo in quei tre paesi. E poi un direttorio perché? Per imporre la solita politica: unione solo monetaria, austerità, attacco ai diritti del lavoro e del welfare? Pare di sì. Tant’è che i giornali tornano a puntare il dito accusatore contro i popoli, contro i cittadini elettori. Oggi contro gli spagnoli che tornano alle urne.

“Madrid: incubo ingovernabilità. L’ipotesi della grande coalizione”. Scrive Repubblica. Il Corriere fa eco: “Ci vuole un esecutivo stabile per reggere l’impopolarità delle politiche di austerità che chiede ancora Bruxelles”. Dunque quelle politiche sarebbero indiscutibili. Dunque dovremmo sostenere i politici che le sostengono: in Europa Merkel, Hollande, Renzi e in Spagna Rajoy e la destra del Psoe. Dunque “l’incubo” da esorcizzare nel voto spagnolo sarebbe Podemos che, insieme a Izquierda Unida, è accreditato del 26%, a 3 punti dai Popolari e con 5,5 punti in più dei socialisti? Vai col liscio. Come se niente fosse successo.

La moneta unica non è mai stata un buon modo di iniziare a unire l’Unione, dice al Corriere il nobel Amartya Sen, “ma su questo – aggiunge – non ritengo che si possa tornare indietro. Invece all’errore delle politiche di austerità, soprattutto nei confronti della Grecia si può rimediare”. Come? “Innanzitutto la leadership europea deve riconoscere il fallimento di queste politiche”. Ridare a Tsipras l’onore che gli ha tolto? Dialogare con Iglesias quando domani potrebbe essere in grado di governare la Spagna, come dice di voler fare, insieme ai socialisti? Quando mai. Le elites di questa Europa inconcludente e sconfitta, unione monetaria ma non politica né economica, Europa che licenzia – per motivi economici – e aggredisce diritti e welfare, i furbi che ci governano, insomma, non sembrano disposti né a autocritiche né a ripensamenti operosi. Così gli squali del capitalismo ora li sfottono.

Soros, Trump, Messina. Soros – non è una novità – prevede che l’Europa andrà in frantumi. Trump, pescato in Scozia dalla Stampa, invita Italia e Francia a dire addio alla Germania e promette “l’appoggio del popolo americano” quando, fra poco, sarà presidente. Messina, che è il Ceo di Intesa San Paolo, dice a Renzi, con un’intervista al Sole24Ore, che Brexit è una grande occasione per l’Italia. Ora si può far saltare, sostiene, a nostro vantaggio l’intera politica europea e annullare le “stupide regole” dell’Unione. “L’indicatore che misura il rapporto debito pubblico/pil ed esclude il risparmio privato è un’invenzione tedesca”. Nessun senso di colpa, dunque, se abbiamo due milioni di miliardi di debiti: risparmiamo (in nero) e tanto basta. E le sofferenze bancarie? “Siamo seri. Anche mettendo insieme cose che non stanno insieme, titoli di Stato in pancia alle banche italiane e sofferenze nette, siamo a una frazione di un terzo/quarto del pil italiano, ma se andiamo a esplorare i derivati posseduti da banche tedesche e francesi scopriremo che i totali dell’attivo sono un multiplo del Pil dei loro paesi”. Tradotto, il Ceo di Intesa San Paolo propone a Renzi una politica spregiudicata, che provi a rilanciarci l’economia facendo debito e ribaltando il tavolo con Francia e Germania, sfruttando le loro debolezze. Naturalmente, per Messina, i sacrifici per le famiglie e l’attacco ai diritti è bene che restino. Prima o poi – immagino sia questo che pensi – i benefici dell’espansione fondata sul debito curerà alcune ferite.

Tutto cambia, mentre resta forte la voglia di premere reset. L’indizio, che è quasi una prova viene dal tono delle chiacchiere politiche nostrane. Su Repubblica, Veltroni, il più renziano degli ex Ds, ora consiglia al suo segretario di cambiare l’Italicum. Il fido (?) Del Rio dice al Corriere: “Il referendum si farà ma non deve essere un test sul governo”. Insomma, voglia di Renzi, archiviando le battaglie del Renzi. Di un Renzi nuovo, rottamatore d’Europa.

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