Il giorno dei colpi bassi, titola La Stampa e si riferisce alle inchieste sulle firme false del Movimento 5 Stelle e a quella per voto di scambio dopo le recenti esternazioni di De Luca. “Le inchieste agitano il voto”, fa eco il Corriere, mentre Repubblica affida a Massimo Giannini una analisi sul caso De Luca dal titolo: “Se l’impresentabile diventa indifendibile”. «Vi piace Renzi, non vi piace Renzi, a me non me ne fotte un cazzo». Così De Luca che subito spiega: contano i soldi che il governo ci dà: “Gli abbiamo chiesto 270 milioni per Bagnoli e ce li ha dati. Altri 50 e ce li ha dati. Mezzo miliardo per la Terra dei fuochi e ha detto sì. Abbiamo promesse di finanziamento per Caserta, Pompei, Ercolano e Paestum. Sono arrivati fiumi di soldi: 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli… Che dobbiamo chiedere di più?» Dunque: “Dobbiamo parlare con i nostri riferimenti. Il mondo delle imprese, gli studi professionali…Il comparto della sanità: questa non è la Toscana, qui il 25% è dei privati, migliaia di persone… Possiamo permetterci di chiedere a ognuno di loro di fare una riunione con i propri dipendenti e di portarli a votare». Naturalmente per il Sì. Voto di scambio? Decideranno i giudici. Ma Giannini si chiede: “Sono questi i campioni del “nuovo”, che dovremmo preferire ai rottamati dell’accozzaglia del No? Aspettiamo una parola di Renzi”. In un paese civile, quella di De Luca verrebbe considerata una gravissima chiamata in correità del Presidente del Consiglio il quale avrebbe subito preso le distanze. Invece la Camera ha votato l’emendamento per nominare De Luca commissario della sanità. Anche per Renzi sembrano contare solo i voti, che “gliene fotte” delle clientele.

Perché può vincere il Sì. Lo spiega bene Piero Ignazi, per Repubblica. 1) Perché da qualche settimana il Sì è all’attacco con “il tono arrembante di chi deve andare a conquistare posizioni mentre il No è sulla difensiva”. 2) “Perché (quasi) tutto il Pd è mobilitato per il Sì, ivi comprese molte componenti che su altri piani si oppongono alla segreteria Renzi, dall’area ex-Civati a quella di Cuperlo più la frangia dei “giovani turchi” critici”. 3) “Per il peso della rete degli amministratori soprattutto al centro-sud. Renzi ha accortamente mobilitato gli eletti nelle amministrazioni locali, soprattutto nel centro-sud”. 4) “La formulazione del quesito referendario con un chiaro riferimento alla riduzione dei costi della politica solletica uno dei sentimenti più diffusi oggi in Italia. L’insistenza su questo punto da parte del Sì trova un riscontro nella scheda e questo può far scattare la scelta”. 5) “Per l’eterogeneità del fronte del No…che spazia dalla destra più arrembante alla sinistra più critica passando per alcune figure più moderate e istituzionali…Il No si profila essenzialmente come una espressione di rifiuto, senza una indicazione sul futuro ( salvo un documento promosso da Massimo D’Alema che però non ha avuto alcuna visibilità)”. Certe battute di Grillo, ferito (lo capisco!) dalle accuse ad alcuni dei suoi per le firme false, e la denuncia preventiva di Pace su possibili brogli nel voto all’estero, non aiutano perché ci spingono sulla difensiva.

Il merito e la politica. La campagna referendaria si muove su questi due poli: È la Renzi Boschi una buona riforma? Se vincesse il No arriverebbe un disastro? Renzi è abile nel mischiare i due piani. Se parliamo della riforma, promette di dimettersi, minaccia elezioni anticipate e sfracelli in quanto “i mercati” puniranno il ritorno all’instabilità. Se parliamo di politica, del governo e dei suoi errori, sostiene offeso che il 4 si vota sulla riforma e non su di lui. Occorre saper distinguere i piani. La riforma è indifendibile: mantiene il bicameralismo e lo rende confuso, è centralista e toglie poteri alle Regioni (che però lascia come centri di spesa), riduce il diritto dei cittadini a scegliersi i rappresentanti. Spieghiamolo con calma. A questo punto quelli del #bastaunsì ci diranno che sì, la riforma non è perfetta (quale eufemismo) ma che il povero Renzi ha dovuto mediare (con chi, di grazia?) e che il meglio è peggio del bene. Allora bisogna replicare spiegando come, evitata una pessima riforma, se ne possa fare una buona. C’è che l’arroganza e la strumentalità del premier hanno costruito un sentimento comune nella destra come nella sinistra e nel Movimento 5 Stelle: potremo superare i limiti del bicameralismo (c’è una interessate proposta Quagliariello) con poche e semplici modifiche alla Carta e troveremo un’intesa sulla legge elettorale, concordando tutti sulla cosa più importante: ridare ai cittadini il diritto di scegliere i loro rappresentanti.

E se vince il No e Renzi si dimette? Dico subito che Mattarella, ieri, si è fatto sentire. Dopo un colloquio al Quirinale (odg previsto, la riunione del Consiglio Supremo di Difesa), Renzi ha dovuto dire che il dopo referendum (dimissioni o no) si deciderà dopo il 5 e che la scelta se sciogliere le Camere spetta solo al Presidente della Repubblica, sulla base del dibattito parlamentare. Partiamo da qua, da un ricatto del premier sventato dal Capo dello Stato. Subito dopo spieghiamo che il governo, dopo la vittoria del No, in nessun caso potrà essere “un governicchio”. Perché dovrà affrontare la discussione in parlamento sulla nuova legge elettorale. Con il No, crolla l’edificio dell’Italicum e si dovrà decidere con quali criteri (e quali garanzie per i cittadini) rieleggere Camera e Senato. In secondo luogo, da gennaio dovremo riparare ai guasti di una legge di stabilità piena di mance e sgravi ma con entrate incerte e una tantum. Scelte di politica economica, dunque. Terzo, il vertice europeo che si terrà a Roma nel sessantesimo dai trattati, sarà la prima occasione per prendere le misure di quello che cambia dopo la Brexit e l’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Dai rapporti con la Russia, alla battaglia contro l’Isis, alle misure economiche per proteggerci dagli effetti (potenzialmente disastrosi) di una guerra commerciale Stati Uniti-Cina. Si può e si deve criticare l’Europa, non lo si può fare in modo furbesco e demagogico – come ha fatto Renzi – dicendo sempre sì e chiedendo in cambio favori. Insomma se vince il No torna la politica. La buona politica. Poi voteremo, finalmente, per rappresentanti non più nominati. Berlusconi ora vuole una legge proporzionale, i 5 Stelle propongono un sistema proporzionale con collegi piccoli (che favoriscono i grandi partiti e i partiti regionali), un sistema che la Lega, quando capirà che Forza Italia non appoggerà Salvini, troverà conveniente. La minoranza Pd ha fatto nel No ai nominati e del No al doppio turno per il premier il suo cavallo di battaglia. Renzi è solo, anche se si batte come un leone. E la sua narrazione non potrà che cambiare.

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