Il contesto qualcosa conta. Alla fine anche un paese provinciale, quale purtroppo siamo, vede fare i conti con quel che accade fuori di noi e intorno a noi. La borsa di Shangai ha azzerato 2.500 miliardi in titoli, Repubblica. Da tempo il potere cinese aveva avviato un parziale aggiustamento del modello produttivo (per renderlo meno insostenibile) e questo aveva spinto capitali enormi verso la speculazione finanziaria, con l’obiettivo di moltiplicare la posta. Da giugno 2014 a giugno 2015 gli indici di Shanghai erano volati in alto del 152%. Alla fine la bolla si è bucata. Vendite all’impazzata, paura di un crollo inarrestabile e ieri il comunismo capitalista ha dovuto vietare ogni ulteriore vendita a chi possieda più del 5% del capitale. Non c’è solo l’Euro, ma per proprio per questo l’euro rischia.

Il Grexit costerebbe alla zona euro 227 miliardi. La fonte è Le Monde. Zingales spiega oggi sul Sole24Ore che “L’Italia ha più da perdere (di tutti) per il Grexit”. Mentre il Corriere della Sera titola a tutta pagina sullo scontro con gli Stati Uniti: “Europa e America divise dalla crisi”. La Casa Bianca e Wall street ci chiedono infatti di ristrutturare il debito di Atene, insomma di rendere pagabili i debiti di quel paese. Temono che la moneta unica affondi e ancor più temono una Grecia costretta nelle mani di Russia e Cina. Per Draghi “la situazione non è mai stata così grave”. Colpa di quello che Moyra Longo, del Sole, chiama “il fattore P”. P come politica. Dice, allarmato, Joschka Fischer: “Non vedo un nuovo compromesso, in cui una delle parti non perda la faccia. Il margine di manovra è estremamente limitato”.

Tifo da stadio a Strasburgo,applausi e fischi. “Noi cavie della politica d’austerità”, ha detto Tsipras davanti al Parlamento europeo, ricordando l’insostenibilità delle condizioni imposte ad Atene, il fatto che i soldi europei siano andate alle banche (greche, francesi e tedesche) non al popolo, i reiterati tentativi di umiliare il suo governo. Ha chiesto 50 milioni di aiuti ma ha promesso il massimo che poteva promettere:  “Grecia taglierà le pensioni e non chiederà l’abbattimento del debito”, El Pais. “Subito riforme di fisco e pensioni, meno pretese sul debito”, Repubblica. Tuttavia Le Monde è pessismista: “Grèce : le compte à rebours avant le divorce” . Per via del fattore M, Merkel.

Tre anni per aver comprato de Gregorio. Berlusconi è stato condannato in primo grado. Forse si arriverà all’appello non certo al giudizio della Cassazione perchè scatterà prima la tagliola ammazza sentenze della prescrizione. Sui giornali è un fiorire di “pezzi” che si chiedono se la storia del paese sia o no da riscrivere, di interrogativi (tardivi) su quale sarebbe stato il destino del governo Prodi e della XV legislatura senza quella compra vendita di senatori, ma nessuno -che io abbia letto- pone la questione che a me pare centrale: quanto peso abbia avuto in questo squallido episodio una legge come il Porcellum, che metteva il parlamentare nella totale disponibilità del partito -era invalso persino l’uso di “pagare” il partito per l’avvenuta elezione-. Se sei merce ti vendi e qualcuno ti compra. Con l’Italicum non cambia.

Oggi sarà legge #labuonacuola. Che non è buona affatto. Comunque la pensiate, dovreste riconoscere che l’unico tentativo serio di fermarla in Parlamento l’abbiamo fatto Tocci e io ribaltando al senato la maggioranza in commissione, proponendo lo scorporo delle assunzioni, la titolarietà della cattedra per i posti vacanti e il sostegno, l’abolizione degli incentivi fiscali alle private. E poi chiedendo alla minoranza Pd di non votare la fiducia, bocciando così la legge, senza arrivare necessariamente alla rottura con il Partito di Renzi. Per questo tentativo sono stato insultato da una parte dei professori .lo capisco, esasperati- e allontanato -non hanno voluto che firmassi il documento dei 25 sul Senato- dalla minoranza Pd, che ha detto sì ancora una volta al ricatto della fiducia. Cose che succedono. L’importante è che la battaglia riprenda a settembre, con il suono della campanella, e che riprenda in modo unitario, come fu il 5 di maggio.

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