Il bluff dura solo poche ore. Il tempo di mandare la faccia di bronzo del Nardella in Tv a dire che “Renzi gli ha dato tutto e che la minoranza non può dire No”, con la Gruber che si agitava nervosissima (e tagliava in modo brusco la parola ai suoi invitati giornalisti) per il timore – fin troppo evidente – che il premier possa dare seguito alle minacce e non mandare più “i suoi” a Otto e Mezzo. Ma i giornali in edicola sono cosa diversa: intanto perché i giornalisti hanno tempo di riflettere almeno un’ora prima di scrivere, e poi perché chi va in edicola il giornale se lo rigira in mano, l’ha pagato e quel che è scritto svanisce sì, ma meno in fretta delle balle di Renzi. “Pd senza accordo”, Corriere. “La minoranza Pd: votiamo No”, Repubblica. D’accordo, renziani e minoranza continueranno a parlarsi, forse formeranno una commissione, con dentro anche un osservatore bersaniano, con l’incarico di sondare gli altri partiti su come cambiare, eventualmente, la legge elettorale, forse faranno le mosse di voler far discutere al Senato il disegno di legge Chiti-Fornaro, quello che cerca di dare un senso all’ossimoro della legge Boschi, che all’articolo 2 prevede l’elezione dei senatori da parte dei consigli regionali “con metodo proporzionale al proprio interno” e l’articolo 57, che li vorrebbe invece eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori”. Il gioco del cerino proseguirà, ma ormai il dado è tratto e la rottura mi sembra inevitabile.

Ezio Mauro anticipa l’elogio funebre del Pd “Quel partito si trova senza radici e senza orizzonte, con le fonti inaridite e l’identità incerta: un capolavoro. Le tradizioni sono state cancellate dallo stesso segretario nella mistica dell’anno zero” e della rottamazione, come se il renzismo fosse una forma politica nuova e non una legittima interpretazione della forma-partito che esisteva prima e che – almeno in teoria – dovrebbe continuare ad esistere anche dopo. Soprattutto, come se i partiti fossero modelli da indossare secondo le stagioni e le mode, e non realtà presenti e riconoscibili nella storia del Paese, purché il leader sappia rivestirsi della maestà di quella storia complessiva, interpretandola poi secondo il proprio carattere e la propria visione politica”. Anche Stefano Folli, nel suo pezzo dal titolo “Perché il 5 dicembre non avremo più il Pd che conosciamo”. Perché, spiega, “Se vincerà il Sì avremo a tutti gli effetti il “partito di Renzi” e di quanti avranno accettato fino in fondo la sua logica e la sua leadership”. Se vincerà il No: “il centrosinistra ricomincia da una sorta di “anno zero”. È improbabile che il No segni un balzo indietro del Paese sul piano sociale e istituzionale, come vuole la campagna pro-riforma, ma certo esso porrebbe un’esigenza di rifondazione del centrosinistra, in forme non prevedibili oggi”. Forse per questo, ieri Cuperlo ha annunciato di volersi dimettere da deputato, se costretto (da Renzi, che rende impossibile un accordo) a votare No al referendum. È un modo per sottolineare che nulla tornerà più come prima.

Il dibattito dell’odio, titolo di Repubblica sul secondo duello Clinton Trump. “Vince il peggio di entrambi”, commenta il manifesto. Il Corriere si consola con il fatto che “Trump resta solo”, giacché parecchi repubblicani ora dicono che non voteranno per lui, e “Clinton vola nei sondaggi”. In verità penso che, chiunque vinca negli Stati Uniti l’8 di novembre, per noi italiani ed europei saranno cavoli amari. Con Donald, dovremmo convivere con un America protezionista ed egoista. Con Hillary tornerebbe – temo – la peggiore guerra fredda con Mosca, a scapito persino dell’impegno contro il Califfato. Già Angela Merkel si adegua e “pensa a nuove sanzioni, in risposta ad Aleppo e ai missili sul Baltico”, in prima pagina sul Corriere. Questo Putin è davvero un politico cinico: ieri è andato ad abbracciare Erdogan. Faranno un gasdotto insieme e non si scontreranno più in Siria. Il che dovrebbe voler dire che Mosca abbandonerà i Curdi alle bombe di Ankara. Poco prima si era detto disposto a ridurre o a congelare la produzione russa di petrolio. Il prezzo del barile ha avuto un sussulto al rialzo e Financial Times a questo, oggi dedica l’apertura. Penso che ci sia un nesso diretto, immediato e logico, tra il bitter (l’amaro) e dark (il nero) delle presidenziali statunitensi e la ritrovata centralità della Russia. Se l’occidente non saprà proseguire la strada di Obama, quella dello smantellamento della vecchia politica imperiale (con ammissione degli errori commessi con Cuba, con l’Iran, in Vietnam, nei confronti del mondo arabo e musulmano) ci troveremo di nuovo in una (quasi) guerra (speriamo ancora) fredda. Con una Russia che dialoga con l’Iran e la Turchia, con la Cina e con l’India. Per l’Europa sarebbe terribile.

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