Manovra da 24 miliardi e mezzo. È il titolo centrale del Corriere e della Stampa. Il Sole24 ore entra nel dettaglio: 13.3 miliardi in deficit, 8.5 di nuove entrate. Il deficit deve essere autorizzato da Bruxelles, le entrate vogliono dire nuove tasse e condoni. Quanto alla crescita dell’1% prevista dal tesoro, l’ufficio parlamentare del bilancio non se la sente di confermarla. Dunque dice No, anche se aggiunge che il suo parere non vincola il governo. Padoan ha fatto quel che poteva, stretto fra l’incudine di Renzi (bisogna spendere, anche per provare a vincere il referendum) e il martello tedesco (chiedete flessibilità per far crescere la spesa, non per risanare). Forse non è un libro dei sogni, certo una manovra piena di incognite.

Renzi ai ribelli Pd: se non vi fidate votate pure No. Il titolo di Repubblica fa riferimento a una frase detta ieri sera dal premier a Politics. Detta insieme a molte altre cose: “hanno votato tre volte Sì, come fanno ora a votare No?”, “il doppio turno lo hanno sempre chiesto, ora non gli piace quello dell’Italicum”, “non mi preoccupo della legge elettorale, mi occupo piuttosto dei terremotati”, “ho messo la fiducia sull’Italicum, l’ho messa su molte cose, ma per colpa del bicameralismo: non si può sempre discutere”. “Le immunità ai consiglieri senatori? Se vince il No le immunità resteranno 950, con il Sì diventeranno 730”. “Tutto il Pd è per le riforme, anche gli elettori dei 5 Stelle e di Forza Italia voteranno Sì”. Non è stata un’intervista, la trasmissione di ieri, né un talk show. Somigliava piuttosto a una conferenza stampa, convocata da Renzi per dire quel che più gli pareva opportuno a dire. In tutto il mondo i capi di stato e di governo fanno uso di conferenze stampa: i giornalisti ascoltano chiedono chiarimenti, poi scrivono, chiosano, obiettano. Ieri no, tutto era pensato per la diretta, tutto destinato a concludersi con l’esposizione delle tesi presidenziali. Così, traditi dal format, i giornalisti non hanno fatto bella figura. Un Semprini dimezzato, dopo gli ascolti deludenti della sua trasmissione, se ne stava in piedi accanto a Renzi più a dirigere il traffico che a fare il mestiere. Bianca Berlinguer provava a esporre argomenti critici, ma questo non funziona mai, non può funzionare, perché non è consentito al giornalista di mettersi a competere con l’intervistato, meno che mai se per di più è solo uno dei 4 intervistatori. Se vi fidate di me, mandiamoli tutti a casa: così suona, rovesciato il titolo di Repubblica. Ed è la parte che Matteo Renzi ha scelto per sé: uno contro tutti, la speranza contro il pessimismo, l’arditismo contro il rischio della paralisi.

Sono l’ultima chance fra te e l’apocalisse. È il messaggio che Hillary Clinton affida all’elettore americano. Lo fa parlando al New York Times, non abusando del servizio pubblico radio televisivo. Si rivolge ad elettori, in prevalenza repubblicani, che sono sconcertati per le performance del suo avversario, quel Donald Trump che insulta le donne, i messicani, gli islamici. E lo fa in America, dove la costituzione prevede con l’elezione diretta del Presidente anche molti contro poteri, dalle elezioni di mezzo termine, al bicameralismo paritario, dal legame speciale tra il senatore e la comunità che lo elegge all’autonomia e l’indipendenza della Corte suprema. Tuttavia neanche in America è detto che quell’appello, “o me o il diluvio”, possa funzionare. “Perché mio figlio non voterà Hillary” scrive disperato Siegmund Ginzberg su Repubblica. Già, i millennials di Trump, le giovani donne (afroamericane o ispaniche) che fanno fatica a sbarcare il lunario e non si specchiano nella retorica della “prima donna presidente”, potrebbero voltare le spalle alla Clinton e votare un candidato indipendente, pur senza chance di farlo eleggere. “Ecco – direbbe Paolo Mieli – così Weimar ha spianato la strada al nazismo”. Già ma come si faceva a votare per chi aveva costretto milioni di uomini a marcire nelle trincee e poi a morire in assalti insensati? Come fidarsi degli amici di Krupp e degli altri mercanti di morte? Per fortuna non abbiamo l’esperienza della guerra, ma solo una forte delusione perché le promesse dell’establishment moderato si sono mostrate fallaci. I giovani chiedono un futuro, gli anziani ricordano le menzogne.

La Russia alla mobilitazione. Esercitazioni e scorte di cibo. Corriere, pagina 8. Putin è un pazzo? Un demagogo ormai alla frutta? Ieri ha annullato un incontro, previsto da più di un anno, con Hollande, dopo che anche il presidente francese (come la Clinton) aveva accusato la Russia di commettere in Siria crimini contro l’umanità. Il Cremlino pensa che se Hillary sarà eletta rilancerà la dottrina Truman (12 gennaio 1947), da cui partì la guerra fredda. Putin teme che gli americani torneranno a usare gli islamisti radicali e fanatici contro il suo paese (come hanno già fatto in Afganistan, nei Balcani e in alcune repubbliche ex sovietiche). Questo pensa, e si prepara. Perciò si tiene caro il tiranno turco (pazienza per i curdi), corteggia l’Iran sciita, mette in difficoltà i Sauditi offrendosi di congelare il prezzo del greggio, suscita il nazionalismo russo ricordando la fame e i 20 milioni di morti che costò loro la seconda guerra mondiale. Non amo Putin. Penso tuttavia che la linea Clinton tradisca il tentativo di Obama, archivi la politica multipolare, metta in mutande l’Europa.

Dopo il 4 dicembre non arriverà la dittatura e non ci sarà la fine del mondo. Lo scrive il direttore del Corriere. Sono d’accordo. Se Renzi riuscisse a rimediare il plebiscito che chiede, ridurrebbe al silenzio le zanzare della minoranza. Si pavoneggerebbe tra i capi di stato e di governo dell’Europa in occasione dei 60 anni dei trattati di Roma. Tratterebbe con il fiduciario di Berlusconi qualche modifica all’Italicum in funzione anti 5Stelle. Continuerebbe a piazzare suoi clienti e sostenitori in ogni incarico sia pubblico che privato. Prima o poi, tuttavia, si dovrà votare e verosimilmente perderà le elezioni. A meno che la situazione internazionale non sia intanto precipitata al punto che egli possa davvero presentarsi come il male necessario, unico argine al disastro. Se invece prevalessero i No, Renzi si dimetterebbe ma Mattarella lo rimanderebbe davanti alle Camere. Sia Alfano e Verdini che la minoranza gli voterebbero la fiducia, per poterlo poi cuocere a fuoco lento, convocando il congresso Pd nell’estate del 2017 e alzando il prezzo per ogni sì al governo in parlamento. Poi si voterà. Forse con una legge proporzionale, come quella proposta dai 5 Stelle, più probabilmente con un sistema maggioritario, ma più simile a quelli vigenti in altri paesi d’Europa che non all’Italicum o al Porcellum. Il catalogo è questo, caro Fontana. Non proprio esaltante. Quanto alla riforma, se approvata dovremmo presto cambiarla, abolendo quel ridicolo Senato. Se fosse bocciata, ci si orienterebbe verso più modeste modifiche della costituzione, comunque in grado di superare il bicameralismo paritario e di ridurre il numero dei parlamentari. Il catalogo è questo: non certo esaltante. M tu sbagli, caro Fontana, quando fai il “terzista”: se non se ne discute in modo piano è chiaro la colpa è tutta di Renzi.

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