“I soldi a Panama mi servono a pagare le mazzette per saltare la coda alla A.S.L”. Altan prova a tenere insieme due mondi. Il primo, che ha potere, molti soldi e banalizza il crimine; il secondo che con il crimine al dettaglio convive per necessità. Fotografia migliore del capitalismo d’oggi non potrebbe darsi. Da una parte, il premier britannico Cameron ammette di aver avuto denari nei conti del padre a Panama, sappiamo che l’imprenditrice e ministra Guidi si sentiva trattata come “una sguattera del Guatemala” dal padre di suo figlio che voleva presentati gli amministratori delegati di Shell e Total, veniamo informati dalla televisione di stato che Totò Riina, u curtu, assassino all’ingrosso di guidici, politici e giornalisti, è anche lui un padre affettuoso. Dall’altra parte, Mario Draghi conferma che i nostri figli sono colti e vivaci ma continueranno a vivere di lavori precari o in nero, che rischiamo di “saltare una generazione”, mentre Cantone ci aveva avvertiti che curarsi non è più un diritto, ma un favore da chiedere e per il quale pagare il pizzo.

Del Rio sotto attacco, scrive Repubblica. “Tutte le pressioni sui ministri”, il Corriere. “Mister Guidi in Commissione mentre parlava la Boschi”, il Fatto. La commissione è quella degli Affari Costituzionali, da cui ero stato allontanato perché si potesse saldare, senza testimoni impiccioni, la nuova alleanza tra due donne che prima in conflitto strattonavano Renzi, Maria Elena Boschi e Anna Finocchiaro. “Le due cordate dei renziani e le sfere d’influenza dentro il governo”, scrive Tommaso Labate, Corriere della Sera, pagina 2. Racconta dello scontro fra Lotti e Del Rio, finito con l’allontanamento di quest’ultimo da Palazzo Chigi, del partito di Lotti (Claudio De Vincenti, Davide Faraone, Teresa Bellanova, Davide Ermini) e di quello della Boschi (Ivan Scalfarono, Gennaro Migliore, Francesco Bonifazi, Anna Finocchiaro). Dal confronto in parlamento fra partiti e programmi, si è passati alla lotta fra correnti informali, cordate del potere. Fuori, petrolieri, banchieri d’affare, imprenditori di famiglie mafiose che distribuiscono patenti di anti mafiosità, giornalisti a cui sta a cuore solo il (loro) potere, evidentemente ne approfittano.

Gianluca Gemelli che Cazzullo paragona al Bel Ami di Maupassant, perché si è fatto strada grazie alle amanti, ha esordito all’ombra dell’imprenditore anti mafia Ivan Lo Bello – quante volte l’ho intervistato! – che negli ultimi anni è diventato sostenitore di Crocetta ed è entrato nella cabina di regia del renzismo, sponsor entusiasta de #labuonascuola. Ivan si è legato a un imprenditore più potente che è anche il suo tallone d’achille. Si chiama Antonello Montante e oggi risponde a Paolo Mieli che gli aveva chiesto di farsi da parte, essendo sotto indagine della magistratura per concorso esterno con la mafia. Non mi dimetto – spiega al Corriere – “perché «togliendo il disturbo» farei un enorme favore alle mafie e ai colletti bianchi collusi e conniventi, finendo con l’abbandonare tutti quegli imprenditori che hanno lottato con me per rendere la Sicilia una terra «normale». Ma Sicindustria ha o non ha le mani sulle discariche e nell’affare rifiuti (affare che secondo Leoluca Orlando, insieme ad acqua e petrolio, è quello che più interessa alla mafia)? Gianluca Gemelli – che fa parte della cordata Lo Bello-Montante – ha o non ha detto, come risulta dalle intercettazioni, che “Borsellino e quelli dell’antimafia andrebbero eliminati” come pare facesse anche un medico siciliano, poi finito agli arresti, che era amico intimo del presidente Crocetta?

All’antimafia il caso Vespa-Riina. Salvando la presidente Bindi, che da politico accorto e persona per bene cerca di dare un senso alla commissione, si sono sentite ieri in antimafia troppe sciocchezze. Dalla senatrice Ricchiuti, Pd e fino a ieri vicinissima a Civati, che ha ripetuto per 3 volte “Vespa portavoce della mafia”, dando l’assist alla Maggioni per difendere nelle conclusioni il conduttore. Alla deputata Prestigiacomo che ha paragonato l’intervista a Riina junior (in occasione dell’uscita di un libro sulla “umanità” del padre) con un altra di Santoro al figlio di Provenzano (quando questi correva il rischio di essere fatto fuori – dai servizi? – in carcere). Santoro cercava una notizia, Vespa faceva una marchetta. Fino a Campo Dall’Orto che, confortato dall’ineffabile Mirabelli capo gruppo Pd, ha promesso che, superata la transizione, Rai farà censura preventiva sui talk show e persino sulla fiction, perché, come dice Renzi, il servizio pubblico deve avere un ruolo educativo. Mamma mia! Eppure quel che accaduto è semplice. “Bruno non ha sbagliato – dice Carlo Freccero – l’ha fatto per la sua carriera, che vale più di tutto. E io lo capisco, avrei fatto lo stesso”. Diciamolo in altro modo: Bruno Vespa ha molto mestiere e non fa niente per caso. È innamorato del suo potere e fa il cortigiano di ogni potente (da Casamonica a Berlusconi, dalla Boschi al figlio di Riina) perché, così facendo, li riduce a cortigiani del suo Porta a Porta. Nel caso Riina, il conduttore sapeva benissimo che si sarebbe parlato del libro, per dimostrare che anche Totò u curtu ha un cuore di padre. Fra l’altro il mafioso ha firmato la liberatoria non all’inizio, come tutti, ma solo alla fine del programma, dopo aver fatto passare il messaggio che voleva. Il punto è che c’entra questo particolare giornalismo con la televisione di stato? La risposta nella vignetta di Altan: le cordate del potere (politico) hanno bisogno di quel giornalismo per esistere e per spiegarsi. Inevitabile che si trovino accanto altri poteri, anche criminali. Potestas non olet!

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