Due italiani rapiti in Libia, Corriere. Può essere stato un “incidente”, un gruppo di banditi del deserto che aveva bisogno di soldi. In tal caso dovremo tirarli via al più presto, Bruno Cacace e Danilo Calonego. Prima che i rapitori li vendano a altri malintenzionati. Può essere invece un ricatto: si sa che le tribù della zona, molto a sud della Libia e al confine con l’Algeria, si dicono alleate del governo di Tripoli, quello “appoggiato” dalla “comunità internazionale”. E allora? Può darsi che per Tripoli il rapimento sia un modo per chiedere all’Italia più impegno nella guerra, non tanto contro l’Isis ma piuttosto contro il generale Haftar, che ha recentemente occupato i terminali del petrolio. Proprio oggi a pagina 4 su Repubblica trovo un’intervista di Paolo Gentiloni: “In Libia trattare anche con Haftar”. Una svolta che potrebbe non essere piaciuta al governo “legittimo”. Infine, non è da escludere che il rapimento sia opera di Al-Qaeda per il Maghreb; l’ipotesi peggiore per i nostri connazionali. “Il pericolo in un paese senza legge”, è il titolo del “pezzo” per la Stampa di Domenico Quirico: “I sedicenti governi di Tripoli di Bengasi di Misurata con cui fingiamo di avere fitti e normali rapporti diplomatici come con la Svizzera o la Bolivia altro non sono che formazioni banditesche di dimensioni maggiori di quelle tribali e con appetiti più smisurati”.

Preso l’attentatore di New York, Repubblica. Si chiama Ahmad Khan Rahami, è arrivato negli Stati Uniti 16 anni fa con genitori e fratelli, americano, con la passione per le auto, lavorava nel fast food di famiglia, First American Fried Chicken. Questo profilo del presunto terrorista fa il paio con quello dello studente e guardia giurata, di origini somale, che ha accoltellato 9 persone nel Minnesota. Americani, carnefici e vittime della mondializzazione commerciale. Avrebbero voluto tutto, pensavano che qui da noi tutto si potesse comprare con i soldi e con il potere, si sentono respinti ed erano frustrati. Poi la svolta: hanno scelto un’altra strada. Preso in mano il corano, hanno adottato il predicatore che diceva le cose più forti, contattato in rete gruppi di terroristi in nome di Allah, sono andati in visita nei santuari dell’Iraq, della Siria, dell’Afganistan, dove si vorrebbe dimostrare che un ritorno alle certezze del medioevo, all’obbedienza, a una presunta legge di natura, sia possibile. E al ritorno erano pronti a morire ammazzando. Fine dei giochi: la missione consiste nel distruggere quel mondo che pure li seduceva ma dal quale si sentivano respinti. Come possiamo reagire? Innanzitutto colpendo la testa del serpente: chiudendo la partita con Daesh, alleandoci anche col diavolo, Russia, Iran e “macellaio” Assad. In secondo luogo urge richiamare con durezza gli ammaestratori del serpente, cioè i sovrani sauditi che su quelle teorie di morte hanno costruito il loro potere sul petrolio, che hanno finanziato i terroristi e pagato gli imam più oscurantisti. Terzo: aprire una battaglia culturale, qui da noi, contro la mondializzazione commerciale, quella che suggerisce che tutto è lecito, tutto comprabile. Diritti e libera scelta sono il contrario. Perché portano dentro di sé il concetto del limite.

Crollano i posti di lavoro stabili, titolo della Stampa e cifre fornite dall’Inps. Meno 33,7% nei primi sette mesi rispetto all’analogo periodo del 2015. Diminuiti gli incentivi, ecco che crollano le assunzioni. E le cose sono andate peggio che nel 2014, quando il jobs act non c’era. In compenso cresce il ricorso ai voucher: in sette mesi ne sono stati venduti 84 milioni e rotti, con un incremento del 36,2% . Come si dice? I fatti hanno la testa dura.

L’aiutino! Così il manifesto, che pubblica un “pezzo” del costituzionalista Villone, definisce la scelta della Consulta di rimandare il giudizio sull’italicum. Insomma, non dichiarandone subito l’incostituzionalità, la corte avrebbe evitato di smentire il governo, aiutando il Sì. Di parere opposto, Stefano Passigli scrive sul Corriere: “la mancata pronuncia rischia di portare consenso al voto dei partiti anti sistema” (cioè delle opposizioni). Perché “la riforma della Costituzione avrà un ben diverso esito se unita alla concentrazione di potere nelle mani del Premier di turno determinata dall’Italicum, o ad una diversa legge elettorale che mantenga al Parlamento e alle magistrature di garanzia il loro tradizionale ruolo”. Insomma, una bocciatura dell’Italicum, sbarazzando temporaneamente il tavolo dall’ingombrante elezione diretta del premier, con capilista bloccati e premio di 120 parlamentari al vincitore, avrebbe potuto indurre gli elettori a credere che il testo Boschi sia inoffensivo. Che sarà mai, lo stravolgimento, sgangherato e ignorante, di ben 47 articoli della carta fondamentale se, alla fine della fiera, la forma del governo resta parlamentare? Ora, invece, governo e maggioranza dovranno trovare in fretta il modo di cambiare la legge elettorale su cui hanno imposto la fiducia. Altrimenti gli elettori al referendum bocceranno anche l’Italicum.

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