Pil, secondo trimestre fermo a zero. È il titolo del Sole24Ore. “Il Pil delude. Per l’Italia crescita zero”, fa eco Repubblica. Insomma, dall’Istat è arrivata la gelata sui dati del secondo trimestre. Che ne facciamo, ora, delle slide ottimiste di Palazzo Chigi. A spulciare i dati, qualcosa di meno peggio, da cui trarre conforto, si trova sempre. In questo caso l’Istat ha rivisto al rialzo la crescita del periodo gennaio-luglio, portandola dallo 0,7 allo 0,8%. Uno 0,1% per cento in più, appena “un millesimo del prodotto interno lordo”, osserva Francesco Manacorda su Repubblica, che poi prosegue, impietoso: “Poco più della metà di quanto gli italiani hanno speso lo scorso anno in gelati”. È possibile che i dati del terzo trimestre siano migliori, perché entrerà nel conto il fatturato del turismo estivo e perché è possibile che a settembre gli italiani spendano un po’ di più, come avevano cominciato a fare all’inizio di quest’anno. Ma – sempre Manacorda – “Sfortunato il paese che dibatte sulla crescita dello zero virgola qualcosa”. Così il Corriere titola: “Flessibilità, pochi margini” e giù un’intervista di Federico Fubini al vice presidente della commissione europea Dombrovskis. La Stampa fa dire a Renzi che “Le banche devono dimagrire”: meno sportelli, meno impiegati. Il Fatto si diverte e sussume i dati Istat alla trovata demenziale della Lorenzin: “Fertility day: sempre crescita zero”. Dario Di Vico si consola con un altro annuncio fatto ieri da Renzi: “abbasserà il tax rate a cominciare dall’ires”. Per l’editorialista del Corriere è l’inizio di un pentimento operoso: non più bonus e sgravi indiscriminati, ma usare il poco che c’è per ridurre il costo del lavoro. Resta il mistero su dove il governo possa trovare i fondi. E Susanna Camusso, intervistata da Repubblica, finge di correre in soccorso del governo, proponendogli di imporre “Una patrimoniale, per finanziare il taglio delle tasse sui salari nazionali”.

Dove cacchio è finito il manuale per governare Roma? Se lo chiede Virginia Raggi, secondo Altan. È proprio questo il punto. Se la narrazione salvifica e ottimista del Renzi si è squagliata in due anni e mezzo di governo nazionale, quella dei 5 Stelle (le famose “regole del movimento”, “l’uno vale uno”, il “tutti portavoce”, la “democrazia della rete che sostituisce quella parlamentare o dei partiti”) tanta bella panoplia di certezze gridate sembra essersi sfarinata dopo solo 70 giorni dalla vittoria al comune di Roma. E la cura per i 5 Stelle è una sola: smetterla di proclamare una loro (presunta) diversità antropologica e mettersi a discutere di politica. Non c’è infatti diversità che tenga senza un’analisi realista dello stato del paese (in questo caso della città di Roma), senza un dibattito franco e pubblico sulle scelte da farsi, senza legare ogni nomina a un’idea precisa, senza il coraggio di considerare chi non è d’accordo per quel che dice e non per il danno che il suo dissenso potrebbe arrecare alla ditta pentastellata. Ha ragione Pizzarotti: “Il dissenso represso porta a liti di corrente”. Ora l’assessore dimissionario Minenna denuncia: “Con Virginia gente sbagliata”. E Virginia replica: “Cacciata una cordata di poteri forti”. Ora Di Maio avverte: “se falliamo a Roma finisce tutto”. Ora il Fatto scrive “traballa anche Paola Muraro”. Perché se non era accettabile la nomina a chiamata diretta della Raineri, non lo è neppure quella della Muraro, da consulente dell’Ama ad assessore all’ambiente.

La Francia ci chiede scusa per una vignetta. Francamente non capisco perché mai uno stato dovrebbe rispondere della stronzata di un giornale. La vignetta con i piedi delle vittime di Amatrice pressati in un italico piatto di lasagne era orribile! Sì, lo era. Per la verità erano assai discutibili anche quelle sull’Islam, “Le Coran c’est de la merde”, o sulla trinità cristiana, padre, figlio e spirito santo che si sodomizzano. Penso che ad una vignetta siffatta si debba rispondere con la pernacchia del principe de Curtis, al secolo Totò, o meglio ancora con il pernacchio lungo lungo, “di testa e di petto”, che Edoardo De Filippo prescriveva contro un signorotto pluri titolato. Senza denunce in tribunale né scuse diplomatiche. Ma, direte, non hanno forse diritto di sentirsi offese le famiglie dei morti? Penso che quelle famiglie abbiano subito ben altro oltraggio. E la risposta del settimanale d’oltralpe, “Italiens, c’est pas Charlie Hebdo qui construit vos maisons, c’est la mafia”, che pure profuma di razzismo, evoca tuttavia un sospetto non del tutto infondato. Io dico: portiamo in tribunale chi specula sulla sicurezza e puniamo invece con lo scherno, o con il silenzio, il cattivo gusto di chi fa satira.

Nella città ostaggio di Idlib, la roccaforte di Al Nusra. Domenico Quirico a lungo sequestrato dagli islamisti, è tornato in Siria e si è spinto fin laggiù. Tra quei guerrieri che in Europa consideriamo terroristi fanatici ma che in Siria fingiamo di considerare alleati, perché combattono i Russi di Putin, gli Ayatollah iraniani vestiti di nero, il macellaio siriano Assad. “Idlib da quattro anni fa parte del califfato di Al Nusra: no, ora Al Qaeda si fa chiamare Fateh al Cham. Ancora mimetismi, trucchi semantici per attrarre altri gruppi islamici minori”, scrive l’inviato della Stampa. “Uccidono, mettono autobombe, torturano e rubano come Daesh: ma, ipocritamente. Non usano la videocamera, non proclamano ipotetiche avanzate verso Roma. Lo scopo è identico: Califfato e totalitarismo di Dio che hanno messo in pratica nella provincia di Idlib e nelle zone di Aleppo che controllano”. Ma i bond sauditi attraggano capitali finanziari in cerca di profitto. Riad compra armi sollevando il PIL. E la strage del Bataclan sembra ridursi a un danno collaterale.

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