“Prima crisi” o “già paralisi” della giunta Raggi? Ha ragione il Corriere o la Repubblica? Certo è una “tempesta” – scrive La Stampa – quella che si è abbattuta ieri sui 5 Stelle e sul comune di Roma. Il Fatto Quotidiano definisce “Virginia, sindaca dimezzata”. “Il supertecnico Minenna – spiega – porta via i suoi dopo un duro scontro nella giunta Raggi e nel Movimento 5 Stelle”. Secondo questa ricostruzione, che mi sembra la più informata, Marcello Minenna, economista, professore associato alla Bocconi e dirigente Consob, assessore al bilancio con la delega al patrimonio e alle partecipate, ieri si è dimesso dopo l’annuncio, dato via Facebook della sindaca, che la nomina a Capo Gabinetto di Carla Raineri, doveva ritenersi revocata dato che l’anti corruzione l’aveva ritenuta non legittima in quanto a chiamata diretta. Minenna, che aveva fortemente voluto la magistrata milanese, ha considerato quella rimozione un attacco ai suoi poteri e alla sua autonomia. A ruota lo hanno seguito il direttore generale dell’ATAC (azienda pubblica del trasporto) Marco Rettighieri, l’amministratore unico della società, Marco Brandolese, e anche quello dell’AMA (azienda per i rifiuti), Alessandro Solidoro. Il complotto contro Minenna (e la sua squadra di tecnici bocconiani) sarebbe stato ordito dal “Raggio magico” (nomen omen) e cioè dal vice sindaco Daniele Frongia, dal capo della segreteria politica del sindaco, Salvatore Romeo, e dal vice capo di gabinetto Raffaele Marra. “Allibiti” gli avversari a 5 Stelle della Raggi (Roberta Lombardi, Roberto Fico, Carla Ruocco), la Taverna ha denunciato “una perdita enorme”, la sindaca, in lacrime, avrebbe addirittura minacciato – dice il Corriere – le sue dimissioni: “Ora basta o mollo”.

Ma basta cosa? Chi sono i nemici esterni che, secondo Di Maio, hanno lastricato di trappole i primi 70 giorni dell’era Raggi? “Ero convinta di dover garantire la legalità. Ma non era così”, l’accusa viene da Carla Raineri, che se ne torna alla Corte d’Appello di Milano. Dunque la giunta a 5 Stelle non vuole più “garantire la legalità” al comune di Roma? Oppure una sindaca incauta e mal consigliata aveva scelto persone sbagliate per gestire l’enorme debito della capitale e le grandi industrie che fanno capo al comune? Marco Travaglio sostiene che quelle nomine erano state volute dal “direttorio” a 5 Stelle. Pare di capire, controllare la Raggi e limitarne i poteri. “Gli errori più clamorosi – scrive il direttore del Fatto – li han commessi i vertici e la base, non solo romani, del Movimento, circondando la sindaca di direttori, direttoriucci e direttorietti dove il primo che si alza la mattina mette becco dappertutto e twitta tutto, anche i mal di pancia”. Dopo 70 giorni di tira e molla, la Raggi si sarebbe fatta convincere a rompere l’accerchiamento, usando quel parere di Cantone secondo cui un capo di gabinetto non si può scegliere “a chiamata diretta”. In tal modo provocando le dimissioni della Raineri, poi quelle di Minenna e degli altri. Gestito così – scrive Massimo Giannini, rientrato dalla Rai a Repubblica – il Campidoglio non è una casa di vetro. Diventa una corte di Bisanzio. Un concentrato di veleni e di arcana imperi di cui nessuno sa e capisce nulla. Una guerriglia sotterranea tra un maxi e un mini direttorio, un conflitto permanente tra correnti palesi e occulte, che in qualche caso fanno rimpiangere i partiti vecchi e rissosi della Prima Repubblica”.

La casa dei cinque stelle si regge su pilastri di sabbia, senza armatura in ferro. Lo scrivo – non per antipatia preconcetta – ormai da più di tre anni. Deputati e sindaci provenivano dai “movimenti”, cioè da esperienze di protesta, di denuncia e talvolta di lotta, molto eterogenee. Queste personalità erano animate (e lo sono) da culture tra loro diverse, tenute insieme da un certo stile plebeo e dalle magagne degli avversari del movimento. Mancano, però di una solida e comune intenzione politica. Come si è visto, se lasciati a sé stessi tendono a dividersi, più in fazioni che sulle cose da fare. La politica, specie in campagna elettorale, ci pensava Grillo, che con la sua pancia da attore sente la piazza e si sposta a destra (a proposito di migranti), a sinistra (salario di cittadinanza), verso soluzioni nazional-protezioniste (sull’euro) o liberiste (quando si tratta di dare addosso ai salvataggi bancari). La Casaleggio-associati doveva, invece, garantire la cornice ideologica, “la diversità pentastellata”, contrapponendo la democrazia della rete ai guasti delle democrazia delegata e del sistema dei partiti. Ma – si chiede oggi Giannini – “dove sono finite l’innocenza” e la “purezza” del Movimento, il “non partito” con il “non statuto”, che nasce e cresce dal basso e che in virtù dei sacri principi fondativi (“uno vale uno”, “i leader non esistono”) rivoluziona la politica e rifonda la democrazia?” Dopo la crisi a Roma credo che i 5 Stelle non possano più attendere a piè fermo che gli errori di Renzi li portino a Palazzo Chigi. Per resistere o rilanciarsi dovranno scegliere: dire (e dirsi) cosa vogliano essere.

Milioni in piazza in Venezuela, contro l’erede di Chavez. Dilma Rousseff destituita con il voto dei due terzi del Senato. L’America latina si rimette nelle mani di una borghesia compradora che in passato ha fallito e si è macchiata di crimini contro l’umanità. Ma ha fallito pure la sinistra sudamericana: ha promesso quello che non poteva mantenere, ha lasciato correre la corruzione, non ha preparato un piano B per i giorni delle vacche magre. Così la riconversione dell’economia avviata dal governo della Cina – più attenzione alle infrastrutture e al mercato interno, freno all’espansione fondata sull’importazione abbondante di materie prime e sulla produzione a basso costo – ha messo il terzo mondo in ginocchio. Le materie prime valgono meno, i semi lavorati e i beni di consumo durevoli non si comprano più a buon mercato. E questo ha spinto le borghesie (e le opinioni pubbliche) sudamericane a riscoprire l’insostenibile contiguità con gli Stati Uniti. Proprio mentre gli Stati Uniti vivono la più grave crisi imperiale della loro storia.

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