Stelle cadenti, titola il manifesto. Ormai il pasticciaccio brutto del Campidoglio chiama in causa il vertice dei 5 Stelle e mette nei guai quello che avrebbe potuto essere il candidato premier del movimento. Repubblica pubblica il testo dei messaggi che sarebbero intercorsi il 4 agosto tra Di Maio e i componenti del mini direttorio romano. Luigi Di Maio: “Quale reato viene contestato a Muraro?”. Fabio Massimo Castaldo (eurodeputato): “Attività di gestione dei rifiuti non autorizzata”. Luigi Di Maio: “Muraro è iscritta nel registro degli indagati?” Paola Taverna: “Posso essere più precisa domani.” Di Maio: “Posso almeno sapere se il 335 è pulito oppure no?” (Il 335 prevede l’iscrizione nel registro indagati senza l’obbligo di inviarne una comunicazione scritta). Paola Taverna: “No, non è pulito”. Il Fatto Quotidiano riproduce la conversazione che Virginia Raggi, il suo portavoce Teodoro Fulgione e Luigi Di Maio (conversazione a tre, Fulgione e Raggi si spartivano un auricolare, avvenuta lunedì scorso). Raggi non vuol mollare la Muraro “Trovatemene un’altra così”, poi a un certo punto avverte Di Maio: “Questa sera Stefano (Vignaroli, parlamentare M5S, vicepresidente della commissione Ecomafie, ndr) ha detto che si ricorda che Paola (Taverna, senatrice del M5S, fidanzata di Vignaroli, ndr) ti ha scritto chiedendo di avvertirti”. Insomma, sei della partita.

Processo al deputato. Quasi in lacrime ammette di aver saputo dell’indagine. La Stampa spiattella i particolari di una riunione che si sarebbe tenuta ieri con Di Maio nel ruolo scomodo dell’imputato. Il vice presidente della Camera prima prova a minimizzare: “Ho letto quella mail, ma ho capito male”. “Ma ti rendi conto che ti stai comportando come la Raggi? – gli dice Carla Ruocco – Anzi no, una Raggi al quadrato.” E Paola Taverna: “Non ti azzardare a dare la colpa a noi, Luigino! Non è più tempo di ragazzini che si sono montati la testa”. Lui chiede scusa, ma aggiunge: “Pensate forse che senza di me cambierebbe qualcosa? Perderebbe solo il Movimento”. È Nicola Morra, scrive il Fatto, a tirare le conseguenze del pasticciaccio brutto: “Cos’è M5S se non partecipazione, condivisione, trasparenza? Per Roma qualcuno se l’è dimenticato (Di Maio è responsabile degli enti locali). Noi glielo ricordiamo”.

Grillo a Raggi: adesso via tutti, titolo di Repubblica. Beppe, malvolentieri, è dovuto calare a Roma. Oggi dovrebbe mettere la sindaca alle strette, “convincerla” a far fuori non solo Raffaele Marra e Salvatore Romeo, ex amici di Alemanno che la Raggi ha voluto al vertice dell’amministrazione, ma anche Paola Muraro, assessore all’ambiente, e Raffaele De Dominicis, assessore al bilancio appena nominato e neppure ancora insediato. Secondo il Fatto, la sindaca resiste ancora. E il titolo del giornale diretto da Travaglio paragona la gestione a 5 Stelle di Roma a quella dell’odiato sindaco expo-renziano di Milano: “Muraro indagata e bugiarda, resta. Sala indagato e bugiardo, pure”. “Il movimento 5 stelle corre verso il disastro”, scrive Paolo Flores d’Arcais, uno dei primi sostenitori della rivoluzione grillina. Secondo il direttore di Micromega il comune di Roma sarebbe infatti caduto nelle mani di una specie di comitato d’affari, una cosca che egli definisce “raggialemanno magico”.

E Renzi molla l’Italicum. Di ritorno dalla Cina, il premier approfitta del clamore intorno ai 5 stelle, per riaggiustare il suo posizionamento. Da una parte promette di tutto e di più. “Aumenti agli statali, aiuti alle pensioni minime. Impegni per 5 miliardi”, scrive Repubblica. Poi fa la mossa del cavallo, quatto quatto offre a Speranza, Cuperlo e Bersani quello che Speranza Cuperlo e Bersani chiedevano da tempo: la cancellazione dell’Italicum. “Legge elettorale sacrificata sull’altare del referendum”, scrive Massimo Franco per il Corriere. “Noi – parola di Renzi – siamo pronti a cambiare l’Italicum se ci sono i numeri in Parlamento. Sia che la Corte costituzionale dica sì, sia che dica no”. Ma cambiare come? “Io sono affezionato alle preferenze – prosegue Renzi – ma va bene pure il collegio uninominale”. Quindi non soltanto rinuncerebbe al secondo turno (in cui i leader se la giocano) ma sarebbe pronto a sacrificare l’intero impianto dell’Italicum per tornare a un simil-Mattarellum. La legge “perfetta” non è più tale, il capolavoro che “nessuno in Europa ancora ha ma che tutti ci invidieranno”, non va più bene. Ora bisogna salvare il salvabile: evitare la sconfitta a fine novembre o inizio dicembre, quando si voterà per il referendum. E se vincessero i No, Renzi resterebbe lo stesso a Palazzo Chigi, per spirito di servizio, visto il disastro di FI e M5S.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.