Europa, vertice a tre senza l’Italia. Renzi: la loro strategia è sbagliata. Titolo di Repubblica. E questo, tra virgolette, dunque attribuito a Renzi, è l’incipit del pezzo di cronaca: “Non voglio essere complice di questa palude, di un clamoroso errore. Non voglio che si pensi, fra sei mesi, che assecondi una strategia che non funziona e anzi mette a rischio l’Europa”. Come si fa a non essere d’accordo con il premier-segretario? Infatti sono d’accordo. Ora mi aspetto, non subito ma con calma, tra qualche giorno a qualche settimana, che Renzi aggiunga: “mi ero sbagliato a credere che la questione europea si potesse risolvere solo in termini di flessibilità da concedere all’Italia. Non avevo compreso la gravità della situazione e perciò a suo tempo ho contribuito a isolare Tsipras, quando dissi che il referendum greco era pro dracma o pro euro. In questi due anni e mezzo trascorsi a Palazzo Chigi, ho sottovalutato la gravità della crisi che investe l’economia mondiale, il peso delle disuguaglianze che comporta e il conseguente attacco al welfare e ai diritti. Ero in buona fede quando, con le mie slide, raccontavo i dati della ripresina in termini talmente ottimistici da divenire ingannatori. Ma ora vedo con chiarezza che non basta chiedere mance né provare a entrare nel vagone locomotiva, ora capisco quanto sia urgente costruire un’alleanza tra i paesi del sud, stringendo prima un patto tra le sinistre radicali e quelle moderate. Perciò oggi guardo con favore all’apertura di Sanchez (Psoe) nei confronti di Iglesias (Podemos), e cercherò di unirmi a Tsipras e di capire cosa di innovativo proponga Corbyn, mentre già da ora invito i socialisti francesi a non farsi schiacciare dal realismo fallimentare di Hollande, ed esorterò Hillary – in occasione del mio prossimo viaggio negli USA, a non sprecare la spinta rinnovatrice che le ha portato in dote Bernie Sanders”. Saper ammettere i propri errori, avere il coraggio della verità, a costo di perdere qualche consenso e di irritare certi clienti: in fondo sta tutta qui la differenza tra il realismo dello statista e la furbizia dell’avventuriero.

9 settimane e 1/2, tante ne mancano, secondo Verderami del Corriere, al giorno in cui saremo chiamati a dire Sì o No al referendum. 9 settimane e mezzo di promesse e bugie, allusioni e colpi bassi. Il quesito sulla scheda? Un volgare spot per il Sì, secondo le opposizioni. No, risponde la Boschi, quella formula “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi delle istituzioni, la soppressione del Cnel, e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione” riproduce fedelmente il titolo della legge. Vero, solo che è il titolo che ella stessa ha scritto sul frontespizio del fascicolo. Titolo ingannatore, come quelli, purtroppo, di tutte le leggi omnibus imposte da questo governo. È vero anche che, per perseguire così modesti obiettivi, non sarebbero stati necessari gli innumerevoli atti di forza di cui siamo stati spettatori e vittime, né riscrivere 47 articoli della Carta. Anzi, a rigore, una modifica così ampia della Costituzione non si sarebbe mai dovuta (né potuta) attuare in forza dell’articolo 138, che prevede solo aggiustamenti puntuali. Per riscrivere l’intera seconda parte sarebbe stato necessario eleggere, con la proporzionale, una nuova assemblea costituente. A Rovato, Brescia, ieri sera ho sintetizzato così, in 4 punti e in 4 tappe, l’iter e il senso della riforma.

Prima tappa: Bersani si arrende e chiede a Napolitano di tornare al Quirinale. Napolitano che aveva già chiesto al centro sinistra di fare il contrario di quello per cui ha chiesto i voti: dare vita a un governo di larghe intese (con Berlusconi) e alzare un muro nei confronti della “anti politica” dei 5 Stelle, giudicata da re Giorgio – lo disse commemorando Chiaromonte – almeno altrettanto pericolosa del terrorismo rosso negli anni 70. Seconda tappa: Le larghe intese si sfasciano dopo l’ordine d’arresto per Berlusconi e la sua decadenza da senatore. Fine del governo Letta e fine del progetto di una riforma organica della costituzione, progetto che giustificava l’esistenza stessa di quel governo. Terza tappa: Renzi presenta, lui, un nuovo testo di riforma, lo sottrae al confronto parlamentare e lo usa come arma di scambio (e di ricatto) per la sopravvivenza di un governo che riesuma e perfeziona la pratica del trasformismo. Dal Nazareno, alla mediazione con la Finocchiaro e Calderoli, fino alla cooptazione in maggioranza dei Verdini e all’osso buttato alla minoranza Pd (la quasi elezione dei consiglieri regionali a mezzo tempo anche senatori). Quarta tappa: Dopo le europee Renzi si convince di essere il vincente, a differenza del Pd, in quanto tale, destinato a perdere. Ecco l’Italicum, con i candidati premier al ballottaggio, cento capilista bloccati e 120 deputati eletti in forza del premio. Ma dopo la sconfitta alle amministrative, ecco che l’Italicum ora si può cambiare, ecco che del referendum si farebbe volentieri a meno (perciò lo si rinvia), ecco che il lupo si traveste da agnello e la grande riforma si riduce a un piccolo cambiamento, a un segnale di buona volontà. Votate Sì perché cambia poco, non indebolite il governo in Europa!

Penta partito. A quella coalizione democristiana, che governò sul finire della prima Repubblica, somiglia oggi, secondo il manifesto – il movimento penta stellato. Molte anime, spesso rissose, tenute insieme da un Grillo non più mattatore ma federatore. Secondo Repubblica, “Grillo sceglie Di Maio: è l’ora del governo”. “I duri in seconda fila”, fa eco il Corriere, spiegando “i nuovi equilibri M5S”. Equilibri che non prevedono alcun ruolo per Pizzarotti, reo di aver parlato con chiarezza del movimento anche fuori dal movimento. A quanto pare, in Italia, i panni sporchi si lavano sempre in famiglia. Anche i panni a 5 stelle.

La corruzione negli atenei spinge all’estero i cervelli, l’ha detto Cantone e il Corriere ne dà conto in prima pagina. Da tempo scrivo che il fallimento non coinvolge in Italia solo “la politica” ma bensì l’intera classe dirigente. Professori illustri, giornalisti di successo, imprenditori, burocrati sorreggono, in solido, un patto corporativo e spartitorio, che da almeno un quarto di secolo trascura i migliori e lottizza ogni posto ben pagato e alla luce del sole. Serve una rivoluzione, anche da noi. Come quella che Sanders invoca per gli States o che in Gran Bretagna ha indotto trecentomila cittadini a tornare nel Labour per sostenere Corbyn. Dopodichè caro Cantone, la sua denuncia diventa un pura balla mediatica se ella, alla guida dell’anti corruzione, non saprà proporre un qualche antidoto. A proposito, De Bortoli scrive oggi dello strano caso dell’Inps: loda Renzi per aver nominato presidente Tito Boeri, osserva come il presidente abbia tagliato le ali alla burocrazia nell’istituto e abbia osato persino dar conto delle perdite che l’Inps ha subito per gli sgravi concessi dal governo alle imprese. Registra che il ministro Poletti è andato su tutte le furie e che Renzi ha preso a ignorare il presidente che aveva scelto. Conclude De Bortoli: “I casi sono due. O Boeri ha ancora la fiducia di Renzi e allora va sostenuto senza indugi nella sua azione di rottura di vecchi equilibri e inefficienze. Oppure l’ha perduta e va sostituito. Magari spiegando perché”.

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