La potenza di un gesto. Con questo titolo Roberto Toscano che, giovane diplomatico, seppe opporsi al golpe in Cile ed è stato ambasciatore in Iran e in India, scrive su Repubblica di Obama a Hiroshima. Scrive del “tono sofferto e solenne”, con cui Barack ha parlato di quella strage, del body language che rivela un dono di scioltezza e autenticità che nei politici è estremamente raro”. Tuttavia Obama non si è scusato, osserva Financial Times. Ha detto che la guerra non spiega Hiroshima. Ha detto che “se non si accompagna ad un pari progresso delle istituzioni umane, il progresso tecnologico può segnare la nostra condanna. La rivoluzione scientifica che ci ha portati a scindere l’atomo ci impone di compiere anche una rivoluzione morale”. Ma non si è scusato. Ha abbracciato commosso un uomo che “vide l’inferno quel giorno” e ha comunicato al mondo la sua commozione, ma non si è scusato. Ricordo come Papa Wojtyla talvolta si scusasse, ma è Francesco che sta provando a cambiare.

Obama sa di essere americano. Sa che nel suo paese la bomba fu chiamata con affetto little boy. E l’aereo che portò la fine del mondo in una città del Giappone, Enola, come la mamma di un colonnello pilota. Sa che il presidente Truman disse che quella strage, e la successiva a Nagasaki, avevano evitato due milioni di morti. Quanti forse ne avrebbe fatti, secondo i suoi calcoli, l’invasione americana del Giappone. Sa che il generale McArthur voleva lanciare un’atomica pure su Pechino, al tempo della guerra di Corea. Sa che l’industria del sogno, il cinema americano, per decenni ha spiegato che l’atomica, se l’avevamo, dovevamo mettere in conto di usarla. Contro l’invasione degli ultracorpi, contro il virus comunista che si diffondeva in Occidente dalla lontana Russia e dall’Asia.

Una presidenza che chiude un epoca, quella di Obama. Questo Presidente ha riaperto un canale di dialogo con l’Iran, sessant’anni dopo il golpe contro Mossadeq e 35 dopo l’assalto all’ambasciata americana. È andato a Cuba da Castro, poi in Vietnam dove gli americani, che pretendevano di difendere laggiù il mondo libero, furono umiliati a partire dal 68. Ha riconosciuto che è stata la guerra imperialista e non la religione il vero motore della tragedia del Medio Oriente. I tanti critici di Obama dovrebbero ricordare che appena 15 anni fa il presidente Bush trascinava noi europei nelle sue guerre in Afganistan e poi in Iraq. Che era difficile parlare del fosforo bianco a Fallujah – un’inchiesta di Rainews24 di Morrione – che si parlava poco della tortura nel carcere americano in Iraq di Abou Ghraib. Che la CIA rapiva i sospetti – e le spie italiane collaboravano – per deportarli in luoghi dove non fossero soggetti a un tribunale e quindi non fossero portatori di alcun diritto. Che parecchi intellettuali e giornalisti giustificavano il waterboarding, la tortura con l’acqua. Era così l’America, Gianni Riotta ne cantava le lodi, Giuliano Ferrara definiva “mascalzone” chi, come Sean Penn chiedeva alla sua America di aprire gli occhi. Oggi, certo, c’è un’altra America che chiede di più: è quella di Sanders e dei millennials. Vuole una politica più indipendente dal mercato, dai dettami del capitale finanziario, dalla distruzione in corso del welfare e dalla riduzione, in Occidente, dei diritti del lavoro. Ma molti di quelli che criticano Obama non vogliono questo. Alcuni hanno giustificato i crimini di Bush e applaudito il corrivo Blair.

Crisi sociale. Valls ha perduto la battaglia d’opinione? Se lo chiede Le Monde. Ottavo giorno di mobilitazione sindacale contro il jobs act in Francia, cinquantottesima Nuit Debout a Parigi, manifestazioni talvolta violente, con cartelli anti flic. Eppure pare che molti, forse una maggioranza dei francesi, considerino il governo della terza via di Manuel Valls responsabile delle tensioni che si stanno vivendo. Le Monde parla di impopolarità dell’esecutivo dopo il rigetto della legge sul lavoro. Vedremo, se son rose e se fioriranno. Certo se Hollande dovesse far marcia indietro sul suo jobs act, sarebbe un bene per tutti. Perché ogni Stato europeo che taglia i diritti del lavoro costringe il vicino a fare lo stesso, anzi di più. É una spirale insensata, che andrebbe spezzata. Oggi non parlo di cose italiane, se non per sorridere con la vignetta di Giannelli. C’è il Re di Maggio, Umberto di Savoia, che appare in sogno a Renzi: “Attento! Con il referendum la monarchia è stata già fregata una volta”.

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