Ancora lui! Pure oggi, e accadrà tutti i giorni fino al 4 dicembre, i grandi giornali sbattono in prima pagina quasi soltanto Renzi. Piano sull’Italicum in Parlamento prima del voto, Repubblica: “Pronto un blitz del premier sulle modifiche. Napolitano, troppi errori aiutano il no. Sfida tv, Zagrebelsky. Renzi un’anguilla”. Renzi presenterà un nuovo Italicum entro ottobre, Corriere. Con Maria Teresa Meli che apprezza: “La strategia sul referendum di Renzi si fa più chiara. Il problema della legge elettorale va eliminato per togliere ogni alibi agli avversari”. Referendum, Renzi vuole tutto il governo in campo, La Stampa. Poi il titolo dell’articolo di fondo, firmato da Fabio Martini, Il leader se la gioca come al rischiatutto. Dal testo: “Una campagna all’americana, quella di Renzi, perché come accade negli Stati Uniti, stavolta il capo del governo si gioca la «vita»: o vince o perde. Stavolta è bianco o nero, non è contemplato il grigio che nella politica domestica ha imperato per decenni”. Basterebbe questo mitragliata di frasi per dimostrare quanto falsa e bugiarda sia l’ultima esternazione del presidente emerito, Giorgio Napolitano, il quale ha sostenuto che “la personalizzazione dello scontro” sul referendum sarebbe stato “un errore, una partenza sbagliata che ha favorito il no”, ma un errore che poi “Renzi ha corretto”.

No, non è stato un errore né alcuna correzione è intervenuta! Renzi ha firmato in prima persona la riforma per poter agganciare Berlusconi al Nazareno e tenere così sotto controllo Alfano e la destra di governo. Ha scelto “Il Senato delle autonomie”, tenendo insieme nella riforma due cose diverse, il superamento del bicameralismo e la riduzione dei poteri legislativi delle autonomie, per potere inchiodare la minoranza Pd alla tradizione dell’ulivo e al sentimento di parte del vecchio Pci secondo cui, non la mancanza di proposte convincenti, ma l’assenza di istituzioni maggioritarie avrebbero tenuto così a lungo i comunisti lontani dal governo. In seguito Renzi ha cambiato per tre volte il punto cruciale su chi debbano essere i senatori e come si debbano selezionare. Lo ha fatto, prima, per favorire (lontano dai riflettori, e per questo fui allontanato dalla commissione affari costituzionali) la mediazione tra due dame: Maria Elena Boschi (che come madrina della riforma ambiva al ruolo di unico delfino del capo) e Anna Finocchiaro (che dialogava a quel tempo con Calderoli, sperando in un appoggio leghista a una sua eventuale candidatura al Quirinale). Poi Renzi ha cambiato di nuovo, inventando l’ossimoro che vuole i nuovi senatori “eletti” dai consigli regionali ma “in conformità alle scelte espresse dagli elettori”, da un lato per cooptare nelle schiere del Sì Vannino Chiti e i bersaniani, dall’altro per gettare un osso pure a Verdini, e al suo gruppo parlamentare, diventato stampella necessaria del governo.

Se perdo il referendum, non è soltanto che vado a casa, smetto di far politica. Il 12 gennaio del 2016 Renzi lo disse a Repubblica tv. Poi l’ha ripetuto più volte. Come si desume dal testo delle dichiarazioni (grazie a Dio consultabili in rete), Renzi ci teneva a sottolineare come la sconfitta alle regionali del 2015 e quella (allora solo probabile) nel voto delle grandi città dell’estate 2016, erano da mettersi sul conto del Pd, non del governo né dello stesso Renzi, che sarebbero stati giudicati – insisteva – dai cittadini italiani chiamati a votare per il referendum costituzionale. Dopo la Brexit e la caduta di Cameron, dopo la seconda sconfitta in pochi mesi dei socialisti spagnoli, dopo aver constatato le dimensioni del successo a Roma della Raggi e a Torino della Appendino, Renzi ha cominciato a temere di poter perdere il referendum, e con il referendum tutto. Così ha spostato la data da ottobre al 4 dicembre, ha annunciato che se pure avesse perso sarebbe rimasto comunque a Palazzo Chigi. Ha detto che l’Italicum (che un tempo aveva definito “legge elettorale perfetta, legge che ci copieranno tutti”) ora si poteva, anzi si doveva, cambiare. Intanto continuava a personalizzare ancora di più lo scontro politico elettorale: Renzi, con Hollande e Merkel alla guida dell’Europa (Ventotene 22 agosto), Renzi contro Hollande e Merkel che denuncia “l’ipocrisia europea (Bratislava 16 settembre), Renzi che va alla lavagna come Berlusconi (citazione cercata, a “Quinta colonna” il 26 settembre), Renzi contro Travaglio, Renzi contro Zagrebelsky, Renzi che “il referendum si vince a destra”, Renzi “o me o D’Alema”, Renzi che promette il ponte sulla stretto di Messina. Renzi che vuole tutta la “ditta” schierata per il Sì.

La verità cruda è questa: il 4 dicembre chi voterà Sì sceglierà di sostenere Matteo Renzi in tutti i suoi stati. Esprimerà un voto in forza del quale il premier riterrà di poter cambiare politica senza doverlo ammettere, che gli servirà per archiviare la narrazione ottimista sulla ripresa che non ha funzionato, di cancellare il ricordo del tempo in cui si atteggiava ad allievo diligente di Frau Merkel (ricordate il referendum voluto da Tsipras? I greci votano – disse il nostro – per scegliere tra la “dracma e euro”) perché l’obiettivo di strapparle trattamenti di favore per il nostro governo, con tutta evidenza, non ha funzionato. Renzi vuole le mani libere. Vuole poter reagire come gli sembrerà più opportuno a ogni evento internazionale e a ogni fremito dei mercati. Ripresa o deflazione? Nuovi equilibri in Europa o crollo dell’Europa? Guerra calda in Africa e guerra fredda con la Russia? Basta ipocrisie, basta menzogne: chi ritiene che affidarsi a questo brillante saltimbanco sia il male minore, voti Sì. Dopo tutto l’Argentina si è fidata a lungo di Peron, il Venezuela di Chavez, la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan. Democrazie sfiduciate, elettori insoddisfatti o indignati si affidano spesso a un risolutore, a un facilitatore, a un uomo della nazione!

Fatemi spezzare una lancia (anzi tre) per il nostro saltimbanco. 1) Sanchez ieri si è dimesso (dopo essere stato messo in minoranza dalla direzione: 132 voti contro 107), ora Susanna Diaz appoggerà il governo liberista e post franchista guidato da Rajoy. Dunque è probabile che anche in Spagna, come in Francia e in Germania, i socialisti debbano rassegnarsi al ruolo di ruota di scorta delle destre. 2) Le contraddizioni che il movimento 5 Stelle sta mostrando a Roma non sono contingenti: derivano dall’idea (errata) che si possa affermare un governo degli onesti usando, di volta in volta, specialisti e grumi di interesse che vengono da destra e da sinistra, senza sussumere l’esperienza amministrativa a una solida e autonoma cultura economica e istituzionale. Eppure i 5 stelle resteranno a lungo protagonisti della scena politica italiana. Se vincessero i No, gioco forza si dovrebbe provare a dialogare con loro. Cosa, come è noto, per nulla facile. 3) Fortunatamente Matteo Salvini si è suicidato, sproloquiando tutti i giorni in televisione. È, dunque, persino possibile che in Italia una parte della destra (Parisi, col viatico di Berlusconi) possa offrirsi come stampella di Renzi, anziché pretendere, come avviene altrove, che la sinistra “moderata” appoggi un governo della destra. Che volete di più? Tenetevelo stretto, ma per favore smettete di mentire, perché una menzogna ripetuta, come il sonno della ragione, genera mostri.

Quanto a me, avrei sostenuto Lenin non Stalin, forse il primo Bonaparte mai Napoleon le Petit, avrei preferito l’umiliazione di Matteotti al trionfo di chi scelse di tessere le lodi di una Roma imperiale “più bella e più superba che pria”, non sarei stato né peronista né chavista, e oggi preferisco percorrere la strada in salita del No. Mi misuro con la coazione a ripetere (e dunque a perdere) della sinistra che c’è, non mi vergogno di aver votato per Raggi sindaco anche se non mi sono mai fatto illusioni sui 5 Stelle. Mi appassiona soltanto la politica che spiega perché pensa quel che pensa e che poi fa quel che dice. Sono irrecuperabile! Piuttosto, cari amici del web, questo nostro Caffè, secondo me, non funziona più. Continuare a fare i conti con i giornali, mi costringe, ogni giorno di più, a inseguire gli incubi dei direttori e degli editorialisti “indipendenti”. I quali scelgono di raccontare sempre meno la realtà per rappresentare, in modo sempre più angoscioso, la paura, che condividono con tanti lettori che la casa comune possa crollarci addosso prima che si manifesti uno spiraglio di luce, la strada verso la porta. Perché credete che Paolo Mieli se la prenda con Sanders, Sarandon Oliver Stone? È la sindrome di Weimar. Perciò inseguono ogni sparata di Renzi e si attaccano all’inconcludenza dei suoi avversari. Che è lo stesso. Questa altrui – chiamiamola – paranoia del buio, spinge anche me a parlare poco e male dello stato del mondo, del capitalismo, delle grandi mutazioni che si compiono a nostra insaputa. Così mi annoio tornando su Renzi (che non mi sorprende più) e ancora di più leggendo le reazioni indignate di certi renzini, in servizio permanente effettivo, e quelle simmetriche di altrettanti grillini, adusi a denunciare complotti giudaico pluto massonici contro il Movimento.

Come vorreste cambiare questa rubrica? Che so, potrei trasformare il caffè del mattino in una più breve e scanzonata lettura dei giornali, magari affidandolo a un file audio o video, senza i soliti refusi e la fatica della scrittura. A sera avrei tempo per esercitarmi con un testo più breve, su un argomento che non necessariamente fa “titolo” sui giornali ma che a me sembra importante. O invece potrei continuare a scrivere il Caffè la mattina ma trasformarlo in una più semplice e rapida segnalazione di titoli e di articoli da leggere. Riservando l’analisi e il commento a un paio di post settimanali. Oppure? Rifletterò su ogni vostra proposta.

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