Una bufala il referendum, Repubblica. “Attacco di Renzi”, Corriere. Non ha resistito, tutti i suoi interpreti, collaboratori e retroscenisti avevano inteso che il premier volesse fare un (temporaneo) passo indietro: profilo istituzionale, bonus per tutti (o quasi), de-personalizzazione del referendum sulle riforme istituzionali, dialogo con Prodi (sulla Libia). Invece è tornato alla carica: sospinto da Napolitano, ha invitato gli italiani a non andare a votare domenica nel referendum sulla reiterazione (automatica) delle concessioni estrattive entro le 12 miglia dalla costa. Insomma sulle trivelle. Perché lo ha fatto? Non posso che ripetermi, anche se so che qualcuno di voi mi impalerà (come faceva coi nemici Vlad III voivoda di Lavacchia, Dracula). Perché quest’uomo non è stabile. Anche se comprende che sarebbe meglio cambiare argomenti e stile di governo, se poi vede la possibilità di passare in forza, di spianare qualche avversario e di uscirne (momentaneamente) trionfante, non resiste. Un ragazzo che sta perdendo la partita e va via con la palla: è mia. Un uomo politico che, dopo aver ascoltato gente per bene del suo partito (come il senatore Tocci) ammette a Porta a Porta che la riforma della scuola va in parte ripensata, ma il giorno dopo vede la possibilità di strappare il provvedimento alla commissione cultura, di passare in forza in aula, di umiliare senato e minoranza e questo fa. Un premier che ieri forse temeva di finire come Craxi, quando nel 91 pronunciò il suo “tutti al mare” e gli italiani invece andarono a votare, ma oggi decide di trasformare l’astensione – se ci sarà, anche grazie al difetto di informazione – in una vittoria nella prospettiva del referendum d’ottobre. E lo fa.

Voto testa o voto croce? Si chiede Altan. Mi sembra questo il più bel manifesto referendario: testa o croce, basta che si voti. Beninteso, non ha torto Gramellini quando osserva che, fissando un quorum per i referendum abrogativi, la Costituzione ha indicato ai cittadini anche la possibilità (e quindi il diritto) di non votare, se ritengono il quesito inessenziale e pretestuoso. Ma è vero anche quel che ha detto il presidente della Consulta Grossi: votare fonda la nostra cittadinanza. E nessuno che ricopra cariche pubbliche dovrebbe invitare all’astensione. Ed è vero quel che Ainis torna a scrivere oggi sul Corriere: “l’articolo 98 del testo unico delle leggi elettorali per la Camera prevede perfino la galera per i profeti dell’astensionismo”. Legge da cambiare – concordo con Ainis – ma che non andrebbe intanto vilipesa dalla terza carica dello stato. A Renzi di tutto ciò non importa. Che noia questo Mineo e Ainis e Grossi, tutti gufi! Quel che conta è la “politica”, ridotta a match tipo ruota della fortuna. Spiega bene Stefano Folli: “Il premier sa che la vittoria, se così vogliamo chiamarla, è dietro l’angolo: sempre che domenica i partecipanti al voto rimangano al di sotto del 50 per cento. Il che significa che egli potrà menar vanto di un’affermazione a buon mercato. La leggerà come un anticipo del grande scontro d’autunno, il referendum sulla riforma del Senato. “Tuttavia neppure l’editorialista di Repubblica è convinto che la coazione a ripetere – ora spiano altri! – sia una buona scelta per Renzi: “Ci sono troppi rischi in un’operazione siffatta. Il giovane politico di Rignano non è ovviamente De Gaulle, ma anche il generale, che amava ricorrere ai plebisciti, alla fine soccombette avendo presunto troppo. Non si era accorto che i tempi erano cambiati e che i francesi non lo amavano più”.

Oggi Bernie Sanders è a Roma, nonostante martedì, dall’altra parte dell’Oceano, a New York, si giochi una partita molto importante per le presidenziali americane. È a Roma perché lo ha invitato, in Vaticano, la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Non sa – dice a Repubblica – se gli “verrà data l’opportunità di incontrare il Papa” ma ne sarebbe felice perché – spiega – Papa Francesco “sta aiutando l’opinione pubblica a prendere coscienza delle disuguaglianze di reddito e ricchezza che vediamo in tutto il mondo. Molti degli argomenti che il Papa affronta – dice Sanders – sono simili ai miei”. Domani il Papa sarà a Lesbo, in un campo profughi, assieme all’arcivescovo di Costantinopoli. Gesto che vuole unire le chiese cristiane, schierarle a fianco dei poveri, aprire le braccia ai profughi musulmani, combattere così tutte le guerre e in particolare quelle che usano il conflitto fra religioni. Il gesuita che ha scelto il nome del povero di Assisi, non è marxista e neppure socialista, vuol salvare la sua “ditta” dal denaro, dal potere e dall’indifferenza, ma – ha ragione Sanders – sta aiutando l’opinione pubblica a capire il baratro che c’è dietro la politica (neo liberista) dell’occidente.

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