Todos caballeros. Se anche il sindaco 5 Stelle di Livorno finisce indagato per “bancarotta fraudolenta”, vuol dire che rubano tutti e che quindi, in un certo senso, non ruba nessuno? Non credo che sia così. Lasciatemi dire, per prima cosa, che i 5 Stelle se la meritano questa tegola sulla testa. Il loro racconto della corruzione non sta in piedi: “noi puri, versiamo 2500 euro dell’indennità parlamentare, gli altri ladri”, “noi protetti dalle regole del movimento, gli altri corrivi”. Ma che vuol dire? Ma quali regole del movimento? Pare che questo sindaco di Livorno, inesperto – se volete, impreparato – e con poco feeling con la gente, abbia dovuto decidere se approvare il bilancio dell’azienda rifiuti lasciatogli in eredità dalla precedente amministrazione, e se assumere 35 precari che si trovava già là. L’ha fatto, poi, dopo uno sciopero degli spazzini, che ha trasformato Livorno in una discarica, ha chiesto il concordato preventivo e portato i libri in tribunali. Secondo le regole del movimento, direbbe lui. Ma le leggi suggeriscono che quelle assunzioni e quella approvazione configurano lo stesso reato eventualmente commesso dai precedenti amministratori del Pd: bancarotta fraudolenta.

Buona politica, onestà, trasparenza. Se Nogarin si fosse accorto che il bilancio nascondeva un buco di 35 milioni, e avesse dedotto che un tale buco giustificava la stabilizzazione dei precari, che pure sembrava moralmente dovuta, non avrebbe dovuto firmare. Sarebbe venuto giù il cielo: sindacati infuriati, cittadini angustiati dalla puzza in strada, i 5 stelle avrebbero pagato un prezzo. Se invece il sindaco avesse voluto sacrificarsi per evitare il disastro, approvato il bilancio e assunti i precari, avrebbe dovuto dimettersi mentre portava i libri in tribunale: ho dovuto fare questa cosa per Livorno e ne pago le conseguenze. Commissario e nuove elezioni. Se infine Nogarin non si fosse accorto di quel che c’era dietro la sua firma, una volta aperto gli occhi avrebbe dovuto lasciare l’incarico, ammettendo la propria “inesperienza”. Così stanno le cose, ma la narrazione a 5 Stelle non è questa: presume che loro siano diversi, onesti e competenti. Funziona bene quando lo si urla sul blog, meno alla prova del governo. E ora Serracchiani e Boschi li accusano di omertà, doppia morale e non so quali altre nefandezze. E passa persino in non cale la notizia che a Platì Annarita Leonardi, del Pd, ha dovuto rinunciare a candidarsi perché le elezioni – dice – sono nelle mani della ndrangheta e il suo partito, che l’ha boicottata, pure.

Il lupo e l’agnello, Erdogan e i giornalisti, Renzi e il referendum, sempre l’arroganza del più forte. Scusate, chi ha detto “o votate Sì o mi ritiro dalla politica”, trasformando il referendum costituzionale in un plebiscito sulla sua azione di governo? Non è stato per caso Matteo Renzi? E allora se un cittadino – il magistrato resta cittadino – dice che voterà No, perché non condivide nel merito le riforme e che non gli importa – anzi che si auspica – che questo “fermi Renzi”, dov’è il vulnus? Inoltre, come ho scritto nei giorni scorsi, è assai probabile che Morosini non l’abbia detto in questa forma, e che la giornalista del Foglio abbia interpretato le sue parole come più le piaceva. Eppure il ministro della giustizia Orlando – che passa per un pontiere, afferma che siamo in presenza di un “caso istituzionale”. Con l’appoggio, forse, di Mattarella e della minoranza Pd, chiama il vice presidente del CSM Legnini e gli chiede di mettere la sordina ai giudici, almeno fino al voto previsto per ottobre. Lo trovo pazzesco. Capisco che tanti democratici in buona fede – anche Cuperlo? – pensino che meno titoli come quello del Foglio ci troveremo tra i piedi e meglio si potrà ragionare dei meriti e dei limiti della riforma. Ma non si può imporre ai magistrati il silenzio, mentre si consente al governo di brutalizzare la Costituzione e di condurre una campagna impropria e menzognera. Pare le che la Boschi – almeno questo scrive il Fatto – abbia detto che chi vota No è come quelli di Pound. Oggi, su Repubblica, Armando Spataro, procuratore della repubblica a Torino, si accusa: “ebbene sì, lo confesso: ho aderito da subito al Comitato promotore per il “No”. Che fa, lo cacciate?

Erano in 500, venuti da ogni dove e vestiti di nero. Si proponevano di abbattere le barriere, non ancora erette, al Brennero. Sapevano che così stampa e Tv avrebbero parlato di loro, i black bloc. E ci sono riusciti, al prezzo di 18 agenti feriti (in modo con grave) e 5 italiani arrestati. Ieri a Varsavia c’erano 40mila persone in piazza, in tutta la Polonia almeno 250mila. Ma sono numeri polacchi, da noi si parlerebbe almeno di un milione di manifestanti. Denunciavano la svolta autoritaria e fascista di Jaroslaw Kaczynski, con slogan ottimisti “Oggi ride tutta la Polonia e così torna la speranza”. Vi sfido a trovarla questa notizia sui giornali. Così il sistema mediatico finisce per dare ragione ai cosiddetti black bloc. Ieri in Place de la Repubblique a Parigi c’erano molti italiani, oltre che spagnoli, inglesi e tedeschi. In un francese, a volte fluido, a volte stenterello raccontavano di occupazioni, di autogestioni, di corsi di italiano per gli immigrati. Esperienze che da noi con si fila nessuno e che venivano narrate in questo forum orizzontale, senza leader ne struttura organizzativa stabile, che sta diventando le Nuits Debout. Ci sono molte ragioni in questi movimenti, come ce ne sono nella manifestazione che si è tenuta a Roma contro il trattato del libero commercio, e che solo il manifesto riprende. Ragioni parziali, manca una visione del mondo. Ma la colpa è loro, dei ragazzi italiani che ho incontrato ieri a Parigi? O è nostra, che non ci sbarazziamo del cadavere della vecchia sinistra e dalla troppa falsa coscienza che ha prodotto?

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