Onorevole Gentiloni, lei ha esordito con toni garbati, affermando di volere un dialogo con il Parlamento. È una novità, dopo 3 anni in cui il suo predecessore si presentava in queste aule con atteggiamento di sfida, provocava il Parlamento, pretendeva che si obbedisse ai diktat dell’amministrazione, al Governo e alle lobby economiche che ne ispiravano le scelte.

Dopo il voto del 4 dicembre invece, “In nome della Costituzione, segno di unità, può svilupparsi – scrive oggi l’ex presidente della Corte costituzionale Onida – la ricerca paziente, dal basso, di una politica meno arrogante, meno sicura di sé, più «umile», anche più orientata alla ricerca dell’incontro al di là dello scontro, della convergenza possibile al di là della contrapposizione; più capace, anche per questo, di parlare il linguaggio della verità, magari scomoda, dell’unità e della solidarietà. Una politica che guardi avanti e in alto, pur mantenendo i piedi bene per terra e individuando i passi che si possono fare ogni giorno”.

Purtroppo il suo Governo, nella sua composizione materiale, contraddice quei toni garbati. È peggio di una fotocopia del governo precedente. Ci sono due signore, delle quali pure apprezzo le capacità, ma che sono state autrici di una riforma costituzionale sgangherata, bocciata senza appello dagli italiani: una darà le carte da Palazzo Chigi, l’altra curerà i rapporti con il Parlamento. C’è un Ministro degli Esteri – in un mondo dove tutto cambia e oggi siriani e russi festeggiano la liberazione di Aleppo dagli islamisti e terroristi, finanziati dall’Arabia Saudita, talvolta anche dagli americani -, un Ministro degli Esteri che, allora al Viminale, ha chiuso gli occhi davanti al rapimento, in Italia, di una cittadina kazaka, ordinato dal dittatore di quel paese. È vero, non c’è più la Ministra della #buonascuola, perché lo stesso Renzi, già prima di imporre la fiducia, sapeva che quella riforma era pessima – glielo aveva spiegato il senatore Tocci e lui l’aveva ammesso in televisione – eppure, con arroganza, impose quella de-forma perché glielo chiesero alcuni suoi pasdaran. Ora allontana una pasdaran, ma la sostituisce con una senatrice, già sindacalista della Cgil, che ha appoggiato con fervore leggi anti sindacali, come il jobs act, che spero sarà cancellato dal referendum della Cgil. Ed è rimasto al suo posto Poletti, secondo il quale il lavoro giovanile è oggi meno precario e più stabile: i giovani hanno detto cosa ne pensano.

Non ci siamo. Con Sinistra Italiana, voterò No alla fiducia. Ma in una Repubblica parlamentare – e la nostra è rimasta tale per la volontà di 19 milioni e mezzo di cittadini – maggioranza e opposizione si confrontano in Parlamento e cooperano. Il tema di questa possibile cooperazione è scritto: una nuova legge elettorale che cancelli l’Italicum.

Oggi sul Corriere, un analista moderato, Antonio Polito, fa un’analisi che propongo da qualche tempo. Il 4 dicembre – scrive -, come a suo tempo il voto sul divorzio, cancella un mondo. Quello in cui si usava attribuire la colpa dell’incapacità di governo alla Costituzione, che invocava “un sindaco per l’Italia” confidando nel carisma di un capo, e si ricorreva a leggi maggioritarie, grazie alle quali il ceto medio, votando – si diceva – con il portafogli, avrebbe moderato l’uno o l’altro polo. È finito quel mondo. Perché la crisi ha cambiato il sentire del ceto medio – 8 italiani su 10 si sentono più poveri, scrive oggi la Stampa – e i poli sono 3 o 4.

Il referendum ha segnato la strada. No a premi truffa, che trasformino una minoranza esigua in maggioranza parlamentare, No ai nominati: gli elettori scelgano gli eletti. Ci sono più soluzioni. Questo Parlamento, che ha imparato a dialogare, ne approvi una con larga maggioranza. Poi, alle urne e ci si confronti tra i programmi. Intanto, lei Presidente, dovrà mettere ordine nei conti dello Stato, dopo la finanziaria elettorale del suo predecessore. Dovrà incidere il bubbone delle banche. Spero che lo faccia, non nascondendo la verità al Parlamento e al paese. Confrontandosi con l’opposizione, che non è “accozzaglia”, non è il nemico da spianare, ma che si oppone nell’interesse del paese.

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