Lo sbruffone preso all’amo. Non se la stava cavando troppo male, Donald Trump, nel primo faccia a faccia con Hillary Clinton. Aveva denunciato i guasti dei trattati internazionali sul libero commercio, dipinto a tinte fosche l’eredità economica di Obama (con Ford pronto a delocalizzare molte fabbriche), constatato che il terrorismo islamico è sempre lì a minacciare l’America. Stava facendo il suo. Ma se uno è sbruffone, se si racconta di essere vincente, sempre, negli affari come con le donne, prima o poi – contateci – la sua boria lo perderà. Così Trump ha sbagliato di grosso a suggerire che Hillary, dopotutto, fosse una secchiona. Lei gli ha risposto: “Mi critichi perché ho preparato a lungo questo confronto? Sai per cosa altro mi sono preparata? Per fare il presidente!”. Peggio quando Donald ha provato a mettere in dubbio la “resistenza” della donna, certo non giovane e forse non in perfetta salute. “Dopo che sarà andato in 112 paesi a negoziare un accordo di pace – ha ribattuto lei parlando agli spettatori – dopo che avrà trascorso 11 ore davanti a una commissione del Congresso, allora potrà parlare con me di resistenza”. Poi, a freddo, lo ha crocifisso alla sua misoginia: Trump ha detto che “la gravidanza è un inconveniente per il datore di lavoro”, mostra di avere un debole per i concorsi di bellezza ma poi chiama una di quelle donne miss “Piggy” e un’altra “signorina delle pulizie, perché latina”. Poi sorridendo e guardandolo negli occhi: “Donald, ha un nome”. Il pesce abbocca e le getta lì “dove sei andata a trovarla?” “Si chiama Alicia Machado – risponde lei con calma- ed è diventata cittadina degli Stati Uniti”. Come un pugile suonato, si aggrappa alla rete: “Oh, really?” “E ci puoi scommettere – lo affonda Hillary – si appresta a votare nel prossimo novembre”. Non può dire quanto abbia pagato di tasse, minimizza il regalo cospicuo con cui il padre lo mise in affari, prova a negare di avere speculato a lungo sul passaporto di Obama suggerendo che non fosse americano. Nel confronto tra i caratteri, nel corpo a corpo, non c’è dubbio: ha vinto la Clinton. E Washington Post, il terzo tra i grandi giornali, gliene dà atto. Tuttavia, sostiene Los Angeles Times, il pubblico dei faccia a faccia è composto in gran parte da americani già schierati i quali ascoltano la musica che più gli piace. E quella di Trump resta, purtroppo, una musica trendy.

Si vota il 4 dicembre. “La data più sofferta della storia repubblicana”, come la chiamano Stefano Folli e la Repubblica. Renzi voleva a tutti costi il referendum a ottobre. Contrordine, meglio dicembre. Aveva ripetuto più volte che in caso di sconfitta si sarebbe ritirato della politica. Ora sappiamo che non tornerà a Rignano, ma cercherà di restare a Palazzo Chigi, forse addirittura senza neanche rimettere il mandato (in attesa di un secondo incarico), come il galateo istituzionale vorrebbe, in caso di sconfitta. Chiedeva un voto sulle riforme e sul governo. Ora dice che il governo non c’entra con il referendum. Era sicuro che tutta Europa ci avrebbe invidiato e copiato l’Italicum, ora dà incarico all’amico Verdini di cambiare la legge elettorale per riagganciare Silvio Berlusconi al suo carro: “il Verdinellum per un altro Nazareno”. Quanto alla “grande” riforma, è diventata piccola: fiducia alla Camera, qualche parlamentare in meno, piccole modifiche ai poteri delle regioni. Nessun pericolo se votate Sì.

Ora indurisce la mascella con l’Europa. Gliela faccio vedere io: le spese per il terremoto e quelle per i migranti, fuori dal patto di stabilità. O si piegano o lo farò lo stesso. Bene, bravo! Ma ancora a fine agosto Hollande e Merkel non erano i tuoi migliori alleati, quelli insieme ai quali cambiare il destino dell’Unione e forse del mondo? Ora li minacci. Forse ti eri sbagliato, succede. Ma se uno cambia linea, se andava in una direzione e ora vuole prenderne un’altra, a casa mia, lo ammette. Invece nulla: il premier non ha tempo per siffatti dettagli. Dice che gli investimenti per il terremoto e i migranti non possono considerarsi spesa corrente. E ha ragione. Ma forse Bruxelles e Berlino vorrebbero sapere come l’Italia abbia speso i miliardi già ottenuti in nome della “flessibilità” e quali traguardi abbia conseguito con essi. Qui il piatto piange. Inoltre il medesimo premier, che in primavera aveva promesso di contenere il deficit entro l’1,8% del PIL, ora lo vuole lasciar correre fino al 2,3 o addirittura al 2,5%. I “burocrati” dell’Europa sospettano che lo scopo sia di gonfiare con sgravi e bonus la legge di stabilità, per ottenere un pugno di Sì al referendum.

Alla lavagna, emulo di Berlusconi, ha spiegato di essere il più bravo. Si sentiva a suo agio dall’amico Paolo del Debbio, a Quinta Colonna, si faceva le domande e si dava le risposte. Ha detto che dal suo governo gli imprenditori hanno avuto tanto e tanto ancora riceveranno, ma ha promesso di raddoppiare anche la quattordicesima dei pensionati. Con quali soldi? Anche per la copertura degli 80 euro si nutrivano dubbi: fidatevi di me. Poi ha firmato a favore di telecamera: “una dedica al conduttore”, ha spiegato. Mancano 9 settimane e 1/2 dal 4 dicembre, Ce n’est q’un debut! Lo vedremo ovunque, ogni giorno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.