La repubblica è fondata sullo sfruttamento del lavoro, dice Maurizio Landini in una intervista al Fatto Quotidiano. Una constatazione più che una denuncia, dopo anni e anni in cui i contratti di lavoro, il welfare, lo strapotere dei sindacati sono stati posti sotto accusa. Ma allora come meravigliarsi se tanti lavoratori svizzeri chiedono, non agli imprenditori ma allo stato, una clausola di prevalenza, di venire cioè favoriti nelle assunzioni (e protetti al lavoro) a scapito degli italiani “frontalieri”? Titola il Corriere: “Prima gli svizzeri? Il 58% vota sì. Il Canton Ticino vuole meno italiani”. Spiegano i giornali che senza questi italiani, che vanno giù e sù per la frontiera, l’economia svizzera crollerebbe. Vero. Ma è vero anche che gli imprenditori che hanno aperto la ditta dalle parti di Lugano pagano un buon 20% di tasse in meno di quante non ne pagherebbero nel varesino o nel comasco. Mentre i lavoratori che si spostano ogni giorno dall’Italia alla Svizzera costano a quegli imprenditori il 30% in meno. Sono repubbliche, le nostre, fondate sullo sfruttamento e sulla delocalizzazione. Dei capitali e del lavoro. I cittadini elettori si sentono dire da decenni che lottare, scioperare, prendere la tessera di un sindacato serve a poco. Per via della crisi, o semplicemente perché così funziona il “sistema”. Perché il capitale ha più diritti del lavoro. Soldi e prodotti corrono per il mondo, i migranti restano imprigionati dai muri a Calais, in Ungheria o sul Brennero. Dunque non resta che cercare un muro dietro cui ripararsi.

Paura degli immigrati. Gli italiani pronti a chiudere le frontiere. Titolo con cui Repubblica presenta l’ultimo sondaggio Demos commentato da Ilvo Diamanti. Si scopre che, di riffa o di raffa, l’83% degli italiani vuole più controlli nell’area Schengen, mentre il 63% si dice molto preoccupato per gli arrivi dei migranti. Vi meraviglia? Provate ad ascoltare il rumore di fondo che si percepisce in tv, in rete, sui giornali o in metropolitana: un suono dice che si sta peggio di prima, che i figli avranno memo dei padri, l’altro avverte che ogni giorno arriva qualcuno che sta peggio di noi e che accetta di lavorare per meno e in condizioni più dure. Non vogliamo diventare come lui, senza casa, né doccia, in strada a prendere quello che viene. Anzi non vogliamo vederli quando serve, a girare per strada e prendere quello che viene. Anzi non vogliamo neppure vederlo e cerchiamo un muro dietro cui nascondere le nostre paure. Certo, in fondo sappiamo che non funziona. Sigillare la frontiera dei Balcani riempirà di barconi il mediterraneo. Il muro tra Messico e Stati Uniti ha solo professionalizzato (e criminalizzato) il traffico dei migranti e delle droghe. Ma non crediamo più nella nostra capacità di esportare i diritti conquistati, di rendere il lavoro più umano per tutti, e di liberare tempo per la cultura, per il piacere, per coltivare l’umanità dell’uomo. E se l’orizzonte si restringe, dal sogno comunista al consumo individualista, anche la politica di rannicchia dietro un muretto o una siepe. Misero riparo ma, per un momento, dà sicurezza.

Onu, processo a Putin. In Siria colpevole di crimini di guerra, scrive la Stampa, “processo” per modo di dire, perché al consiglio di sicurezza dell’Onu , la Russia – come gli Stati Uniti – può sempre nascondersi dietro il diritto di veto. Intendiamoci, che il macellaio Assad consideri nemici da sterminare anche le donne, i medici e i bambini che si trovano intorno e in mezzo ai ribelli di Aleppo, è senza dubbio vero. Come è un fatto che gli aerei russi sorreggano le truppe dell’alleato siriano. Ma dall’altra parte gli americani supportano, se non addirittura sorreggono i terroristi di Al-Nusra, i quali si muovono come pesci nell’acqua tra i “civili” di Aleppo. Così che per colpire loro (i terroristi) colpisci e ammazzi prima e soprattutto gli altri (i civili). Perciò era stato così importante che Kerry e Lavrov avessero negoziato una settimana di tregua, promettendosi di condividere, poi, le informazioni necessarie a condurre insieme, russi e americani, la guerra contro l’Isis. Purtroppo, firmata la tregua, i bombardieri a stelle e strisce hanno fatto strage, “per errore”, in una riconoscibilissima caserma dell’esercito siriano. E Assad si è vendicato, non sugli americani s’intende, ma su medici e convogli umanitari. Fine della tregua, russi e americani che tornano a guardarsi in cagnesco, civili che muoiono come sempre, Daesh che respira di sollievo, sauditi che mestano nel torbido. Ma noi le cose non le raccontiamo così. Per esempio piangiamo – a ragione – lo scrittore Hattar ucciso in Giordania. Aveva riprodotto su Facebook – scrivono oggi i giornali – una vignetta “blasfema” contro l’Isis: vittima del terrorismo islamico. Ma Hattar non era lo stesso scrittore cristiano che aveva anche difeso la Siria di Assad. Come la mettiamo?

Nessun dorma! Questa notte due campioni si sfideranno in televisione per entrare nello studio ovale della Casa Bianca, in quello che più somiglia a una stanza dei bottoni. Una donna, che si è mostrata più forte e determinata del marito presidente, contro un uomo che le donne, belle e coi tacchi, se le porta dietro e le mette in mostra come prova di potenza. Lei preparata, controllata, troppo perfetta, lui gaffeur, così carico di debiti da non poter fallire, pronto a bruciare – you are fired! – (cioè a licenziare) i deboli incapaci di far tornare l’America first. Chi vincerà? Spero la Clinton: per quanti disastri possa fare, saranno sempre meno di quelli che farebbe Trump. Ma, il paradosso di queste elezioni si coglie guardando a chi investirà e appoggia l’una e l’altro. La destra americana che sta in alto, quella del capitale, della finanza e degli apparati di stato, vuole Clinton. Da lei si attende la difesa della libera (e globale) circolazione delle merci e del denaro, la composizione degli interessi delle élites, la difesa del palazzo dall’assalto della piazza “populista”. La destra della strada preferisce, invece, Trump al quale chiede di proteggere prodotti e lavoratori americani dalla concorrenza cinese o latino americana, e di restaurare, con la grinta del self-made man, il primato USA. I millennials di Sanders e gli attivisti Obama sceglieranno il meno peggio. O non voteranno.

Il paese basco ai nazionalisti, la Galizia alla destra. Il Psoe arretra in entrambe le elezioni regionali che si sono svolte ieri in Spagna. Ora Sanchez deve decidere se fare la ruota di scorta della destra o definire un programma minimo su cui cercare un’intesa con Podemos.

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