Perdiamo l’anima e ci concediamo una lacrima. Ci manca Dario, il popolo vivo del mistero buffo contro paramenti sacri e menzogne del potere. Riconosciamo la profezia nelle parole di quel piccolo ashkenaze con gli occhi aperti sul passato e il futuro dell’America. Blowin’ in the wind fu scritta nel 63. Nel 63, dopo la rottura con Canzonissima, cominciò la lunga marcia di Dario Fo e di Franca Rame nella cultura popolare. Alla ricerca delle radici su cui costruire il futuro. Dopo 20 anni di pace, di contraddizioni ma di crescita impetuosa, il mondo poteva allora cambiare direzione. Aveva una chance. Forse solo ieri sera ho capito perché un vecchio come Bernie Sanders possa incantare ragazzi di 20 anni. Il racconto di come avrebbe potuto essere, la speranza del domani in quel trascorso. Che perciò diventa valore comune. Tranne per chi ha la pancia troppo piena di potere, o la mente di rancore.

Volevo vedere un film in inglese, ieri sera, per rifarmi l’orecchio, visto che ho deciso di andare a New York per gli ultimi giorni della campagna elettorale. Sono finito, invece, su un’intervista di Corrado Formigli a un ragazzo in camicia bianca che in un secondo muove centinaia di milioni, che considera il jobs act un plus, sia che produca lavoro vero sia che regali posti pagati 500 euro l’anno con i voucher, perché per quelli come lui l’importante è che l’Italia appaia stabile e moderna, e si lasci alle spalle lo Statuto dei lavoratori e una Costituzione nata da quella quasi guerra civile che chiamavamo Resistenza. Dobbiamo finire come in Cina? Gli ha chiesto Formigli. Spero di no, ha risposto d’impulso quel quarantenne di successo ricordando i nonni e la loro battaglia civile. Poi però ha aggiunto: in Cina c’è lavoro che dà dignità, c’è la democrazia del lavoro. Ho provato simpatia per Davide Serra, laureato alla Bocconi nel 95 e finito alla City: da lì ora scommette sull’Italia, è amico di Renzi e Napolitano lo ha nominato commentatore. Una storia di successo, la sua. Però ho pensato che i figli di Serra – mi pare ne abbia quattro – forse canteranno mister Tambourine man – let me forget about today until tomorrow – si chiederanno chi era Ernesto Guevara e perché lo abbiano ucciso. Se fossero più grandi andrebbero a un comizio di Jeremy Corbyn. Perché fabbricando soldi coi soldi e profilando la realtà a misura d’investimento, si perde il futuro.

Maurizio Molinari non è forse il più “di sinistra” tra i direttori dei grandi giornali. Ebreo romano, amico di Israele, in passato ha condiviso le scelte di Bush, ora credo speri nella Clinton. Però la sua storia gli permette di raccontare con schiettezza quello di cui altri hanno paura. “Soldati italiani al confine russo”, “l’Europa cuore del confronto tra Usa e Putin”: sono i titoli della Stampa di oggi. E accanto, il discorso di Mattarella al Nato defense college: “E’ indispensabile che si ponga fine all’irragionevole momento di tensione, la cui pericolosità vivono, quotidianamente, i nostri militari. Le esibizioni di forza, il continuo saggiare le forze, sono solo l’avvio di escalation per smontare le quali occorrono poi anni di ripristino di reciproca fiducia”. Naturalmente il Capo dello Stato, come De Gasperi, è un atlantista convinto, vorrebbe che l’Italia giocasse il ruolo del calmiere in quella alleanza. Sempre sulla Stampa a pagina 11: “Yemen, così la guerra coinvolge gli Usa”. La notizia è che la sporca guerra che i sauditi, finanziatori e mentori della jihad del terrore, hanno intrapreso nello Yemen contro gli Huthi vicini all’Iran, ora si fa anche con i missili “Tomahawk lanciati dal cacciatorpediniere americano Nitze, che ieri hanno distrutto postazioni radar dei ribelli sciiti”. “Yemen, per gli Usa il rischio di un’altra Siria” scrive anche Repubblica.

Dark and bitter, amaro e nero! Perché è stato questo il confronto fra Clinton e Trump? Temo perché l’America e l’Occidente hanno smesso di sognare. Hanno perso l’anima e non trovano più una visione, se non nella parola ricostruita di Fo e nella voce nasale di Dylan. Uno, Donald Trump, vuole costruire muri al confine e invita ciascuno a difendersi da sé, l’Europa dai russi, quelli come lui non pagando le tasse. L’altra, Hillary Clinton, si considera l’ultimo argine prima della apocalisse e, come Truman nel 47, denuncia il pericolo russo, trasformando Putin nel grande fratello che minaccia e spia. Davvero, provo simpatia per Davide Serra e per Matteo Renzi: penso che siano l’esito delle nostre sconfitte. Che il decisionismo che ostentano sia la reazione (vitale) a una gioventù senza sogni, con il giubbotto di Fonzie e la paura dell’AIDS. Però non possiamo lasciare ai figli (e ai nipoti) questo nulla che cammina.

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