Un uomo e una donna si tengono per mano e ciascuno tiene un bambino con l’altra. É l’immagine del family day secondo il Corriere della Sera. Stampa e Repubblica insistono sulla sfida al governo: “In aula vedremo chi ci aiuta”, “Niente legge sulle unioni”. “Governo che è pro ma anche contro”, secondo il Fatto. Mentre il Giornale annuncia: “I Cattolici divorziano da Renzi”. E il manifesto titola: “Mamma mia” (che paura? Quanto rumore per nulla?) e fa suo il pallottoliere dell’Arci Gay, secondo cui (contati i metri quadrati) i manifestanti del family day erano 300mila e non 2milioni. Sulla manifestazione devo correggermi: non è stata “sinceramente reazionaria”, come mi aspettavo. piuttosto ho visto al Circo Massimo una manifestazione nostalgica. Com’era bella Italia delle madonne pellegrine e dell’attesa del miracolo, quando la crisi della famiglia patriarcale era affar dei ricchi e la chiesa garantiva l’ordine costituito anche in politica. Torna in mente “La Dolce Vita”, grande film che quell’Italia raccontava con distacco (e un sorriso persino affettuoso), intuendone la prossima, inevitabile, dissoluzione. Quella famiglia (patriarcale) trasmetteva la proprietà (anche solo di un tetto sotto cui riparare), quella chiesa politica faceva barriera alla paura dei comunisti (che contestavano la proprietà e, per questo, mangiavano i bambini), le libertà sessuali erano allora devianza, segreto nel confessionale, e non entravano in ogni prodotto di consumo.

In piazza non c’era la chiesa di Francesco; anche se Avvenire oggi titola: “Sì alla famiglia, sì al buon diritto”. Ha ragione Scalfari a segnalare che il Papa non soltanto si è tenuto lontano dall’italica affermazione di cattolicità (Paolo VI, il più importante pontefice post conciliare, non lo fece) ma ha indicato nelle stesse ore un’altra strada, quella del confronto con l’Iran sciita di Rohani e con le chiese protestanti, i cui rappresentanti Francesco incontrerà il 31 ottobre in Svezia). Certo il Papa vorrebbe che l’unione (divina) di un uomo come una donna fosse indissolubile, vorrebbe che i figli del matrimonio santificato in chiesa fossero gregge del buon pastore, vorrebbe, da buon gesuita, che la Misericordia nei confronti di chi ha rotto quel vincolo o ne contesta la forma eterosessuale non incrinasse i pilastri dell’ordine trasmesso dall’istituzione ecclesiale. Ma il Papa sa quanto sia pericoloso, di questi tempi, agitare il vessillo dell’identità, che orrori e che guerre questo prometta. E perciò apre e dialoga con il mondo. Non vuole trovarsi a capo di una setta, più debole di altre.

Renzi ha scoperto Spinelli. Bravo! Certo, nella sua narrazione, il viaggio a Ventotene è servito a nascondere il passo indietro della trasferta a Berlino, a negare di aver annacquato il vino delle critiche all’Europa a guida tedesca. E certo non ha torto Scalfari quando segnala “la sua totale ma consapevole incoerenza” perché “rafforzare – come Renzi vuole – l’autonomia degli stati nazionali significa non già rafforzare l’Unione europea ma indebolirla ulteriormente”. E tuttavia, di fronte a un Salvini che abbraccia Le Pen, di fronte alla confusione della destra post berlusconiana e al silenzio (sull’Europa) dei 5 stelle, io considero benvenuta l’ultima scenografica professione di fede europeista del rottmatore. Il punto è che però bisognerebbe dire in quale Europa vorremmo vivere. In quella che, in certi paesi del nord, vede gruppetti di giovani ariani gettare granate contro immigrati dalla pelle scura? Oppure in quella in cui 22 calciatori della serie b greca hanno smesso di giocare e si sono seduti sull’erba per solidarietà con i migranti (e fra loro ancora bambini) che continuano a morire nelle sei miglia del mare tra Europa e Turchia? L’Europa dei diritti, della tolleranza, dell’unità che nasca da un libero contratto oppure quella del mito di Giovanna d’Arco, della identità del popolo o della razza, della notte di San Bartolomeo e della notte della Shoah. La politica realista pretende di stare in mezzo. Se volete purtroppo, questo non funziona più.

Il New York Times ha scelto: “Hilary Clinton è uno dei più qualificati candidati alla presidenza della storia moderna e la sua visione dell’America è radicalmente diversa da quella offerta dai candidati repubblicani”. Vero; ma a me Hilary sembra una candidata che guarda al passato. Che rimpiange il tempo della “terza via”, quando democratici americani e laburisti inglesi si aggrappavano al capitalismo finanziario e la locomotiva sembrava ancora trainare il reddito e l’ottimismo della middle class. Guarda al tempo in cui Richard Nixon si prese la sua rivincita sui Kennedy (nel frattempo eliminati da altri) e seppe non solo chiudere la sciagurata impresa in Viet Nam ma anche aprire al capitalismo-comunista cinese. Poi è venuto il Watergate, si è approfondito il fossato tra main stream e Washington style, sono venuti gli scatoloni del bancario fired dopo il fallimento della Lehman Brothers, sono nati occupy Wall Streat, il Tea Party a destra, gli attivisti di Obama e il working families party tra i democratici. Anche NY Times – come tanti da noi – insegue un centro che in politica non c’è più, roso dalla crescita delle disuguaglianze, dalla caduta di tanta parte del ceto medio verso una condizione proletaria, dalla sfiducia per una politica sequestrata dai potenti più potenti.

Sanchez ci prova. Paralizzato dai boss regionali del PSOE che non vogliono saperne di un’alleanza con Podemos (colpevole di essere troppo catalano e troppo poco sovranista) il segretario dei socialisti ha deciso di chiedere agli iscritti: “Volete che proviamo a fare un governo di sinistra? Preferite che appoggiamo la destra di Rajoy? O che puntiamo ad elezioni rischiando di perderle? Ci prova, ma non sarà facile, perché una parte dei socialisti crede (come in Italia) che la ricetta neoliberista riavvierà la crescita e teme la secessione catalana.

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