Minimizzare, stare ai fatti, evitare paroloni. Sembra questa la scelta dei giornali in edicola. Per una volta, direte. Cominciamo con i bombardamenti su Sirte. “Dureranno un mese”, assicura il Corriere. Repubblica sottolinea che l’Italia resta per il momento un po’ di lato e scommette sulla conquista, in un mese, della città libica: “Sirte la Battaglia finale”. La Stampa dà conto della reazione di Putin, irritata ma con gli Stati Uniti: “Putin attacca Obama e chiede neutralità all’Italia”. L’eco delle bombe quasi si sente, ormai, in Sicilia, ma noi incrociamo le dita e speriamo di non dover andare in prima fila e che duri il meno possibile. Fra i commenti, molte cose (anche giudiziose) sulla necessità dell’intervento americano per evitare che l’Isis, con la sua presenza a Sirte, allarghi la forbice tra il governo (debole) di Tripoli e le truppe di Haftar (un po’ meglio organizzate e appoggiate da Egitto e Francia). Se Sirte fosse ripulita dai terroristi, le tribù libiche potrebbero sedersi per discutere del futuro.

Ho ascoltato l’intervista di Lucia Goracci a Erdogan, almeno la parte che Di Bella ha deciso di trasmettere. Devo dire di non aver avuto la stessa sensazione che si ricava dai titoli, e cioè quella di un Erdogan che minaccia l’Italia per l’indagine della procura di Bologna sul figlio, attacca la Mogherini e si prepara a far saltare l’accordo con la Merkel sui migranti. Ho visto piuttosto un dittatore che comincia a sentirsi solo. Vorrebbe che America, Europa e Italia gli riconoscessero il ruolo, che crede di aver avuto, nella lotta “al terrorismo”, che i nostri capi di stato e di governo si mostrino più solidali con lui, andando a Istanbul per condannare i militari “golpisti” e le bombe sul parlamento, che l’Unione Europea dia più visti ai turchi e intensifichi i rapporti commerciali. Erdogan vuol mostrare ai Turchi di aver credito in occidente. Le critiche della Mogherini, il silenzio sui visti, il fatto che il figlio, Bilal, non possa tornare a Bologna per concludere gli studi, le interviste che Fethullah Gûlen rilascia dall’America, gli sembrano altrettanti siluri che lo delegittimano. Quando Goracci gli ha chiesto della pena di morte, ha tirato su la lista dei paesi – in testa gli Stati Uniti – che prevedono la pena di morte. Quando gli ha chiesto degli arresti in Turchia, ha paragonato i suoi nemici alla nostra P2. E la storia di Bilal l’ha detta per sostenere che le accuse di corruzione a lui e alla sua famiglia, sia che vengano da un magistrato italiano o da Gúlen, altro non sarebbero che un tentativo di golpe (ai suoi danni) sotto altra forma.

Trattare con Putin, costringere Erdogan a allentare la morsa. Dovrebbero essere gli obiettivi dell’Europa. Sia Putin che Erdogan sanno di aver bisogno di noi, di un’Europa che non detti legge con le armi e non crei nuove cortine di ferro, che commerci e sviluppi rapporti culturali. L’Europa dovrebbe porre una sola condizione: il rispetto dei diritti dell’uomo e del cittadino nei paesi con i quali essa dialoga. Se non lo farà, se rimarrà vaga e distratta, timorosa di scegliere e adusa a farsi proteggere – e dunque dirigere – dagli Stati Uniti, allora Putin ed Erdogan sposteranno verso Est il centro di gravità delle loro politiche, e punteranno alla vittoria di Trump. Nella fase storica segnata dall’insorgere di una anti mondializzazione terrorista e oscurantista, la grande battaglia è quella per i diritti e le libertà. Tutto si tiene.

Credito nella bufera. Crolla il titolo del Monte dei Paschi, molto male Unicredit, male Commerzbank e Credit Suisse. Federico Fubini ipotizza che i continui esami europei alle banche, gli stress test, abbiano stressato gli investitori, che non capiscono più cosa ci sia dietro e dunque non si fidano. Insomma è l’incertezza politica europea che pesa sui mercati.

Bianca Berlinguer lascia il Tg3, Di Bella resta a Rainews24. Lasciare una direzione dopo 7 anni potrebbe non esser un trauma. E mi pare di capire che a Bianca abbiano almeno offerto qualcosa, non la lasceranno a scaldare una sedia. Però il contesto di questo avvicendamento è squallido. Viene dopo il calcione di quel tale Anzaldi, uomo del premier in Vigilanza: “Renzi è il segretario del Pd e il capo del governo, e al Tg3 sembrano non essersene accorti”. Il sostituto della Berlinguer, Luca Mazzà, si è segnalato per le “coraggiose” dimissioni da Ballarò in dissenso con Massimo Giannini, il quale era caduto in disgrazia presso Renzi. Quanto a Di Bella, immagino che, sorridendo, oggi dica: hic manebimus optime. Era in predicato – sponsor il responsabile dell’informazione Verdelli – per dirigere oltre a Rianews24, Rai-Regione e Tg3. Una grana enorme, capo del personale (giornalistico) con quasi duemila amministrati, addio alle incursioni in video, o all’attenta analisi del colpo di stato turco fatta al telefono quella notte stessa. Però quell’idea – che non io ho mai condiviso perché credo che tra direttore e redattori serva un rapporto diretto e personale – celava l’assoluta mancanza di progetti per il futuro dell’informazione e della Rai. Ora Maggioni e Campo dall’Orto rinunciano persino a fare finta. Niente cambia dietro il cavallo di Viale Mazzini. Solito tran-tran, solito ossequio al governo, bacio della pantofola al più forte partito dell’opposizione e sempre in auge la regola aurea della lottizzazione: avanti i modesti.

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