Lo sfratto, Il manifesto chiama così l’esito delle elezioni in Spagna, giocando sulla lotta contro gli sfratti del futuro sindaco di Barcellona. Repubblica mette insieme Spagna e Polonia, e parla di “sfida all’Europa”. Cominciamo da qui: la Gran Bretagna che vuole uscire, la Grecia che non vuol pagare, la Polonia che va a destra, la Spagna che pretende di difendere le vittime della crisi, sono altrettanti tarli che minano la tavola europea sulla quale mangiano?

 

Il contagio del populismo. Massimo Franco parla di “ricetta velleitaria e fumosa”, per la Spagna e per la Grecia, che “conduce a una deriva come minimo paralizzante”.  La colpa sarebbe dunque – si chiede Lucio Caracciolo su Repubblica – “dei populisti di destra e di sinistra, da Salvini a Tsipras passando per Le Pen e Iglesias, irresponsabili agitatori che parlano alla pancia della gente. Tutti in un calderone — nazistelli, opportunisti e democratici sinceri?” “Spiegazione di comodo”, obietta Caracciolo, “perché il sogno dell’integrazione era già andato in pezzi”, Per via delle regole dell’austerità – che ci siamo imposti quando credevamo di imbrigliare la Germania -, per l’assenza di una politica europea libera dal “protettorato a stelle e strisce”, per il fatto che “la vocazione di Angela Merkel, leader massimo europeo, è quella di vivere precisamente alla giornata”.

 

Europa da rifare. L’ha detto ieri il  compagno che risiede a Palazzo Chigi. Da rifare, mica in qualche dettaglio, ma nientemeno che su “lavoro e fisco”. Esternazione che fa titolo su Stampa e Corriere. Dovremmo, dunque, presumere che il lungo silenzio italiano sulla Grecia finalmente finirà. Ieri Atene ha detto che proverà a pagare la prossima rata degli interessi sul debito. Un modo per chiedere soccorso: ristrutturazione del debito e nuovi prestiti, in cambio di profonde riforme ma non di nuovi tagli a lavoro e occupazione. Renzi difenderà questa posizione, l’unica ragionevole e la sola che difenda l’Italia da rischi futuri? Chiederei anche: siccome non può sfuggire al rottamatore come la crisi dei partiti consista proprio nel fatto che non sanno più ascoltare le richieste della base, rincuncerà Renzi alla legge, impopolare e sbagliata, sulla scuola?

 

Perchè in Italia non c’è Podemos? Direi, per un regalo postumo dello stalinismo di destra così a lungo egemone sulla nostra sinistra. Nel 2010 – 2011, quando si cominciò a capire cosa fosse la crisi, avevamo Napolitano al Quirinale. Che sorresse Berlusconi e poi passò il testimone a un governo di destra-sinistra, guidato da Monti. Perché, dopo il voto del 2013, la coalizione “Italia bene comune” si è dissolta e gli odi tra i leader post comunisti e democristiani hanno ridato la palla proprio a Napolitano. Perché, infine, alla guida della reazione sociale – e vitale – a tutto ciò, ci siamo trovati un campione della piccola borghesia all’italiana. Tale Beppe Grillo, che comprende gli umori del paese, ma che dal paese pretende obbedienza cieca. Come i “rivoluzionari” narcisisti che nel Risorgimento pretendevano che i contadini meridionali li seguissero, come  Feltrinelli che contava sui pastori sardi, come i tanti che cominciarono arditi e finirono fascisti. Il rottamatore rischia di essere il Frankestein creato da Giorgio e Beppe. O forse mi sbaglio?

 

Iglesias parla italiano. Conosce bene la nostra lingua, ha studiato legge e scienze politiche, ha preso un dottorato a Cambridge. Podemos non è oggi né il primo né il secondo partito in Spagna, ma ha scelto di allearsi, di fare politica. Da domani governerà Barcellona e Madrid.

 

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