Riforma?

La legge Giannini, non propone un’idea di formazione per stare al passo coi tempi, non indica quale debba essere la missione della scuola pubblica, non ridà all’insegnante il ruolo centrale che dovrebbe avere. Riforma?

La più fascista delle riforme, come Mussolini definiva la legge Gentile del 1923, proponeva un’idea di formazione (classico umanistica per le classi dirigenti, avviamento professionale per gli altri), affermava un’idea di scuola pubblica, laica e nazionale, e metteva il maestro al centro del sistema educativo. 92 anni dopo si poteva far meglio.

L’autonomia

Nel disegno di legge il termine autonomia funge da foglia di fico o interviene come un deus ex machina per aggiustare l’inaggiustabile. Manca un’idea? Si invoca autonomia! Dispersione scolastica? Autonomia. Divario tra scuole che resistono e scuole che affondano? Ancora l’autonomia, come toccasana. In realtà l’autonomia prevista dalla legge, senza un fondo di perequazione nazionale, e l’aggravante della chiamata diretta dell’insegnante da parte del dirigente scolastico, spingerà ogni scuola a tessere con il filo che ha.

Le scuole dei bei quartieri proveranno a imitare il modello efficientista e selettivo dell’istruzione privata. Quelle “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, dovranno essere più larghe di manica con i voti e, se va bene, proveranno a costruire un rapporto con il loro territorio. Ma se la società è disgregata – e lo è in tante periferie- quello che torna alla scuola dell’autonomia è proprio la disgregazione sociale, non un’ipotesi di riscatto, non pari opportunità per tutti.

Alternanza scuola lavoro

La proposta è duale: Il disegno di legge prevede infatti almeno 400 ore per gli istituti tecnici e 200 per i licei. La speranza è, dunque, che l’incontro con l’industria serva a ridurre il fenomeno della dispersione scolastica fra gli studenti delle classi meno fortunale. E funzioni da avviamento al lavoro manuale. Per la upper class si prevede invece solo un’esperienza cognitiva, della cultura classica. L’ampia scelta discrezionale in mano ai dirigenti scolastici accentueranno questo carattere duale della nuova scuola.

Sarebbe invece stata necessaria una piccola rivoluzione copernicana che superasse la distinzione tra insegnamento classico e tecnico, per proporre una formazione di base polivalente: meno nozioni (che poi si dimenticano) ma il tentativo di sviluppare le capacità logiche, sia attraverso lo studio delle matematiche che delle scienze classiche. Uscire dalla scuola sì, ma per sperimentare la capacità di capire il mondo, di viverlo e di cambiarlo. Non un cerotto sulla crisi dell’insegnamento tecnico o di quello classico
Il dirigente scolastico

Per la nuova legge è il dirigente scolastico che garantisce l’alternanza scuola lavoro, il dirigente che provvede alle necessità dell’istituto e cura i rapporti con l’esterno, è sempre il dirigente che valuta i docenti, che li chiama a cattedra, che li sostituisce se non funzionano. Chi è questa donna o quest’uomo multi tasking? Che preparazione deve avere per passare dall’amministrazione, alla politica, alla valutazioni del merito di un insegnante di greco o di fisica?

Preside sceriffo, preside sindaco, superman. In realtà il dirigente scolastico è l’agente di fiducia del governo nella scuola. Il presunto gestore della autonomia sarà lo strumento di una neo centralizzazione burocratica, che vuol trasformare gli insegnanti in lavoratori dipendenti, che li vuole condizionare con la chiamata diretta e i rinnovi triennali, che gestisce il sistema premiale (destinato a sostituire nelle intenzioni del governo la contrattazione nazionale) e fa bastare alle scuole le risorse a disposizione, separando i destini delle scuole per la serie a ,quasi private, e di quelle per i proletari.

Valutazione

Ecco la balla spaziale: “gli insegnanti non accettano di essere valutati.” Da molti anni gli insegnanti migliori hanno, come unico conforto al non cale in cui sono stati tenuti, la gratitudine di studenti e famiglie. Ora la Giannini dice loro che saranno valutati dal preside. In che modo, con quali strumenti di analisi? L’unico metro di giudizio rischia di essere la docilità che mostreranno nell’aderire alle scelte del dirigente e dell’amministrazione governativa. Una scelta rozza, che mina l’autonomia stessa dell’insegnamento.

È invece possibile una valutazione interna, nel collegio docente, che sappia tener conto dell’efficacia e dei risultati dell’insegnamento, ed esterna, affidata a personale altamente qualificato, capace di valutare sia la capacità didattica che le competenze specifiche, riqualificando il corpo degli ispettori ministeriali. È possibile immaginare una prospettiva di sviluppo professionale per l’insegnante, creando la figura di un maestro della didattica, che elevi il livello della scuola stessa. Ed è possibile immaginare una via d’uscita dalla docenza, verso altre strutture statali, di chi non se la senta più di insegnare.

Jobs act della scuola

Con la nuova legge gli insegnanti neo assunti saranno sottoposti alla chiamata diretta del dirigente scolastico e al rinnovo triennale del contratto. Le stesse regole varranno per gli insegnanti di ruolo che chiedono e ottengono il trasferimento, e per i perdenti posto. In pochi anni tutti gli insegnanti saranno più precari, esposti all’arbitrio della struttura amministrativa e burocratica, a danno della libertà e della continuità dell’insegnamento. Nasce da qui la protesta generale che ha unito insegnanti di ruolo, di sostegno, precari delle graduatorie a esaurimento, idonei del 2012, TFA con anni di insegnamento e spesso più abilitazioni.

Proponiamo che il contratto triennale si applichi per l’organico dell’autonomia per il potenziamento dell’offerta formativa, mentre per quel che concerne , l’organico dei già assunti o degli assumendi per i posti comuni o per il sostegno, sembra sensato confermare la titolarità della cattedra. Va inoltre almeno regolata la discrezionalità del dirigente scolastico per quanto riguarda sia le chiamate per i il potenziamento dell’offerta formativa, sia le chiamate per assegnare le supplenze.

3 miliardi, ma presi dove?

La scuola ha bisogno del sostegno dello stato, investimenti sull’edilizia, di docenti motivati e meglio pagati, di scelte concrete. Non merita di essere coinvolta in una narrazione tanto trionfalista quanto insincera. Un miliardo e mezzo degli investimenti annunciati viene dal blocco della contrattazione per gli insegnanti che si protrae dal 2009, e degli scatti di anzianità del 2013. Una partita di giro: con i sacrifici degli insegnanti si pagherà la stabilizzazione degli insegnanti. Inoltre 300 milioni provengono dal tagli al finanziamento generale del Ministero, operato con la legge di stabilità, e 620 milioni dai tagli, negli ultimi 3 anni, al fondo per gli istituti. Lo storytelling nasconde la cruda realtà.

Andrebbe reintegrato interamente almeno il fondo per gli istituti, perchè è appunto quel taglio che ha provocato la percezione diffusa di abbandono della scuola, pubblica dalla carta igienica che manca al calcinaccio che cade.

Assunzioni e concorsi

Diciamo subito che l’amministrazione ha creato molte specie (e sotto specie) di precari e ha alimentato una teoria interminabile di attese che, con il tempo, sono diventate, o almeno sono apparse, diritti acquisiti. Ora il governo parte da un dato di fatto: non possiamo stabilizzare tutti. E allora sceglie un criterio formale: stabilizzare solo coloro che si trovano già nelle Graduatorie a Esaurimento. Poi i concorsi. E il merito? Si rimanda a concorsi futuri ma si straccia il faticoso percorso abilitante di tanti, si cancellano gli anni di docenza di insegnanti qualificati ma non inseriti nelle GAE. Con gli abilitati del concorsone 2012, si divide tra chi la Giannini ha assunto e quelli che ha dimenticato. Pasticci.

Crediamo che sia urgente stabilizzare subito almeno i docenti abilitati e pluri abilitati che insegnano da più di 3 anni. Le risorse -fra l’altro- ci sono, già nei fondi assegnati dal governo. In prospettiva, nessuno sia lasciato indietro : con la necessaria gardualità -piani pliriennale_ dovranno essere inseriti nella scuola anche gli insegnanti che si sono pagati i corsi abilitanti ritenendo così di acquisire un titolo.

Il tesoretto nascosto

La cifra di 100.701 posti previsti per stabilizzare l’organico di fatto ricorre spesso nella comunicazione governativa, ma non è indicata nel testo di legge. Si rimanda alla cifra investita. Ma se si fanno i conti, partendo dalla differenza dichiarata di 57.230 unità tra organico di diritto 2015-2016 e organico di fatto, e si sommano i circa 20mila pensionamenti, le 14mila nomine effettuate l’anno precedente e persino gli oneri per le la ricostruzione di carriera per i docenti da assumere in più, spunta comunque un “tesoretto” che potrebbe portare il numero degli insegnati che sarà possibile stabilizzare, senza esborsi ulteriori, a quasi 138mila unità anziché i 100mila e rotti della vulgata mediatica.

Togliere il ricatto
A questo punto è possibile e indispensabile impegnare il relatore della Commissione Istruzione a cercare soluzioni condivise, che portino alla stabilizzazione immediata di un numero di docenti adeguato – tenendo conto delle maggiori disponibilità (il tesoretto)- e a precedere invece a una riscrittura più meditata della legge, che metta al centro la funzione docente, la missione della scuola pubblica, un’idea del sapere che non si concluda nell’aggiunta di qualche materia in più o in una mera riorganizzazione burocratica.

Scuola privata e pubblica


Manca purtroppo, nel disegno di legge Giannini, la consapevolezza del ruolo che puù avere -che deve avere-la scuila pubblica. Diciamola così, fuor di metafora: bene o male la scuola pubblica ha regolato la promozione sociale, ha provato a trasformare il figlio del contadino o dell’operaio in dottore, titolo che gli concedeva, almeno sul piano teorico, l’ingresso nella classe dirigente. Ora è semmai vero il contrario: il ceto medio di proletarizza. Saranno sempre più numerosi i figli di imprenditori, artigiani un tempo agiati, commercianti, medici, giudici, giornalisti che nella scuola sperimentano la realtà, per loro nuova, di futuri proletari.
Ecco che la scuola pubblica deve avere una missione formativa unica . la costruzione di un cittadino e di un giovane con capacità logiche polivalenti. Il suo ruolo può solo consistere nell’offrire una possibilità, chances uguali agli studenti. Che sperimenteranno, poi, in un mondo del lavoro frammentato la loro capacità di inserirsi.

Perciò fa tristezza il tentativo di importare modelli efficientisti e e quiz dalla scuola privata americana di qualche decennio fa. Mentre il tentativo di concedere facilitazioni fiscali ai genitori che scelgono le private, rivela la tendenza a copiare quel modello anche nella scuola pubblica, in quella dei bei quartieri, per intenderci. No, vogliamo una scuola che riveda i cicli, accorci di un anno il tempo della preparazione alla maturità, torni alle borse di studio, per gli studenti meritevoli, in ragione del reddito, com’era previsto dalla legge di parità

Tirando le somme


100mila insegnanti da assumere, 3 miliardi da investire, valutazione per i docenti, premi di merito,più poteri al dirigente scolastico. Per ripartire dalla domanda di buona scuola e adeguare poi l’offerta a tale domanda In sintesi è tutto qui lo storytelling de #labuonascuola

In realtà il disegno Giannini porta il jobs act nella scuola. Gli insegnanti perderanno la titolarità della cattedra e l’autonomia della funzione docente per finire nel calderone delle chiamate dirette (con ampia discrezionalità del preside), degli incarichi triennali, della pendolarità tra posto comune e organico funzionale. L’autonomia è una foglia di fico che nasconde il vuoto di idee innovative. Sulla formazione, sul ruolo del servizio pubblico, sulla dignità dell’insegnante. Il dirigente scolastico diventa un funzionario governativo, in parte capo del personale, in parte gestore del rapporto tra scuola e impresa, tra scuola ed enti locali. La legge prova a sostituire il contratto nazionale con premi concessi al personale docente in ragione dell’ accettazione, più o meno entusiasta. del nuovo ordine scolastico. Lungi dall’invertire la deriva classista, la legge ripropone un sistema duale: tra scuole dei quartieri meglio abitati e scuole di periferia, senza alcuno sforzo di perequazione.
Lo sforzo emendativo deve dunque mirare a separare le assunzioni promesse, che vanno espletate subito, dal ripensamento degli obiettivi e dei metodi della riforma. In secondo luogo va difesa la funzione docente e la libertà dell’insegnamento, vanno rilanciate le battaglie per il diritto allo studio e la legge di parità, va ripensata l’alternanza scuola lavoro, togliendole il sapore di un ritorno antistorico al vecchio avviamento professionale. Infine ma non ultimo, un emendamento alla legge ricorderà il rilievo costituzionale che la scuola pubblica ha e deve avere. Connice indispensabile per non procedere a un riformismo cieco che finirebbe per destrutturare senza costruire

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