La Gran Bretagna fuori dal mercato comune, scrive il Sole24Ore. Ogni accordo commerciale dovrà essere rinegoziato, i migranti europei non godranno più di vantaggi a Londra rispetto a pakistani o bengalesi. Theresa May ha anche minacciato ritorsioni, in sostanza di trasformare il Regno Unito in un paradiso fiscale che acchiappi capitali europei, qualora Bruxelles immaginasse una qualche ritorsione. A muso duro? Sì, ma la faccia feroce nasconde, in questo caso, una doppia debolezza. Innanzitutto la premier britannica teme, come sottolinea Financial Times, di perdere i vantaggi commerciali che aveva nell’Unione. E alza la voce. In secondo luogo dovrà fare i conti con la Camera dei Comuni e con quella dei Lord, oltre che scontare una forte protesta degli scozzesi, legatissimi al mercato comune.

E il leader comunista difende il libero mercato. Titolo di Repubblica. Fubini (Corriere) sostiene che Xi ha parlato a Davos della globalizzazione come avrebbero potuto farlo Blair o Clinton. “Il mondo che verrà – scrive Federico Rampini – è quello dove i cinesi sono liberisti e gli occidentali denunciano la globalizzazione”. Un “mondo capovolto”, dunque come ieri aveva detto pure Enrico Mentana. Mi piacciono i paradossi, ma forse qui conviene puntualizzare. Intanto, per quel poco che possano contare le letture scolastiche del comunista a capo del più forte paese capitalista, Marx non era contrario all’espandersi del commercio, che, al contrario, gli sembrava l’unica forza in grado di spazzare via vincoli feudali, regimi di casta, sottomissione delle donne e dei figli, molto diffusi, ai suoi tempi, nel lontano oriente. In secondo luogo la Cina è diventata quel che oggi è grazie alla libera concorrenza che si è imposta negli ultimi decenni e che le ha permesso di imporre prodotti e tecnologie in Asia, America Latina, Africa, ottenendo materie prime a buon prezzo. Infine Xi ha detto esattamente “la guerra commerciale non può vincere” e il suo sembrava piuttosto un avvertimento a Donald Trump che una scimmiottatura di Tony Blair. Tanto più che, come oggi scrive New York Times: “Per il mondo le vere intenzioni di Trump restano sconosciute. Ed è diffuso il sentimento che le sue parole non si debbano prendere alla lettera”.

Tajani vince il derby, con Pittella, e strappa ai socialisti la poltrona di presidente del Parlamento di Bruxelles. Ma “l’Italia conta di più”, si consolano Corriere e Repubblica. È italiana l’alto rappresentante per la politica estera, italiano il presidente della BCE, italiano pure Tajani. La cosa certa è che questo derby ha allontanato Berlusconi da Salvini e lo ha rimesso in linea con i popolari europei, riavvicinandolo ad Angela Merkel. E alla Merkel proverà a riavvicinarsi anche Paolo Gentiloni, nel primo incontro che avrà tra poco con lei a Berlino, nella sua nuova funzione di presidente del Consiglio. Il fumo della propaganda renziana è stato spazzato via. L’Italia cresce meno dell’Europa, la finanziaria approvata a dicembre era zeppa di spese elettorali e la copertura di tali spese era assai dubbia, il governo Gentiloni dovrà, dunque, porvi rimedio. Ma potrà invocare le condizioni delicatissime in cui si trova il nostro paese, le spese urgenti dopo il terremoto, quelle per l’immigrazione – Mattarella ha chiesto ieri che il rigore sui conti valga anche sui migranti -, la deflazione che rischia di trasformare la ripresa dello zero virgola in recessione. Un governo che tratta, che si arrabatta, che vorrebbe accreditarsi come un governo serio, che fa quel che dice.

Quando il giudice non si fa tirare la giacca. Il contratto tra Virginia Raggi, Grillo e Casaleggio, con la multa salata che la candidata sindaca aveva accettato di pagare casomai avesse derogato alle regole del Movimento, non la rende affatto ineleggibile. Non viola, cioè, l’articolo 67 della Costituzione secondo cui l’eletto non ha vincolo di mandato. Questo non vuol significa (come qualche grillino sta ora dicendo) che il giudice abbia approvato quel particolare, né tanto meno che altri giudici obbligheranno i parlamentari che non volessero pagare la multa a pagarla. Vuol dire solo che hanno avuto torto il Pd e la Monica Cirinnà: le questioni politiche vanno affrontate politicamente, non chiedendo ai magistrati di cavare le castagne dal fuoco. Intanto finalmente la procura di Roma ha ipotizzato che Stefano Cucchi sia stato ucciso da 3 carabinieri che lo hanno picchiato duramente, dopo il fermo per droga, facendolo cadere in malo modo. La giustizia tenta di fare il suo corso, anche se in Italia non si è voluto introdurre (come in Europa) il reato di tortura, né è previsto che le indagini su uomini delle forze dell’ordine siano affidate a una speciale polizia, meno incline a coprire i colleghi.

Chelsea Manning uscirà dal carcere il 17 maggio. Non nel 2045, come prevedeva la condanna per aver rivelato a Wikileaks segreti e vergogne dell’esercito americano al tempo della guerra sporca in Afghanistan e in Iraq. Lo ha deciso Barack Obama, nell’ultimo atto (immagino) della sua presidenza. Chelsea dopo l’arresto aveva cambiato sesso, per due volte nel 2016 aveva tentato il suicidio, viveva il carcere come una tortura e il fondatore di Wikileaks, Assange, rinchiuso nell’ambasciata londinese dell’Equador, per non farsi estradare in Svezia dove è accusato di stupro e da lì negli Stati Uniti, giorni fa aveva promesso di consegnarsi alla giustizia americana, qualora Obama avesse salvato il soldato Manning.

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