“Roulette greca”, è il titolo scelto dal manifesto. “Trattativa disperata”, Repubblica, “l’Europa premere, ora Atene ha paura” Corriere, per la Stampa “si va ai supplementari”. Quello che è successo ieri è presto detto. Junker, dopo aver chiesto ai greci di votare “Nai,Sì”, contro il loro governo, ci ha ripensato, e ha offerto a Tsipras di aprire al taglio del debito in cambio della revoca del referendum. Tsipras prima ha risposto “non accetto ricatti”, poi ha fatto una contro proposta: mettiamo per iscritto che il debito si ristruttura e assicurate alla Grecia liquidità per altri due anni. Junker ha subito convocato l’eurogruppo per le 19 di ieri. A questo punto Angela Merkel ha deciso di salvare la faccia, bloccando le oscillazioni scomposte del “suo” presidente delle commissione: “di nuove trattative ne parleremo ma solo dopo il referendum”. Così, mentre in serata piazza Syntagma è stata riempita dai greci per il sì, la trattativa prosegue al telefono ma non si sa bene su cosa né per cosa. E tutti attendono il referendum e il verdetto che uscirà domenica notte dalle urne.

 

Questa volta i Greci decidono per tutti noi. Proprio così.  La mossa di Alexis, sarà pure un autogol -come fanno intendere tanti,troppi,  editorialisti e giornalisti economici- ma ha rimesso il suo popolo al centro della scena. Ha imposto la democrazia ateniese. Se prevarranno i sì avrà vinto l’Europa della Merkel, se i no, l’Europa dovrà cedere alla piccola Grecia o prepararsi a scivolare verso l’ignoto. Atene ferita, Atene a bancomat spenti, Atene che ha paura ma vorrebbe vender cara la pelle. Pensate che turbinio di sentimenti e che senso della storia peseranno su ciascun elettore greco. Democrazia vuol dire governo del popolo. Libertà, possibilità di scegliere il futuro.

 

Ad Atene, ad Atene. Obama chiama Merkel e le dice: “non facciamo della Grecia il primo stato fallito dell’Occidente causando gravi danni all’economia Usa e avvantaggiando Vladimir Putin nel Mediterraneo Orientale”. Lo racconta Maurizio Molinari. Persino Renzi, ieri in assetto di guerra contro Tsipras, oggi fa il cerchiobottista, telefona ad Alexis e corre da Angela. Grillo domenica sarà ad Atene. Un giornale dei mercati, come il Financial Times ospita un appello pro Grecia firmato da Stiglitz, da Piketty e pure da Massimo D’alema. Fassina, Dattorre, Vendola, anche loro saranno in Grecia domenica. E Landini, coalizione sociale, ha indetto una manifestazione per la Grecia, venerdì.

 

Crollano le certezze, svanisce l’ottimismo di maniera. Anche da noi. “Con i tassi in risalita l’Italia vede risalire due miliardi di risparmi, Crescita in bilico”, scrive Repubblica. “La doppia incertezza sui conti italiani” dice il Corriere: “a maggio persi 63mila posti di lavoro, la manovra correttiva sarà di 20 miliardi”. E Massimo Franco chiama in causa “le priorità del governo. I dati dell’Istat rilanciano -scrive- i dubbi sull’efficacia del Jobs act mentre l’esecutivo insiste sulla riforma costituzionale”. Osservo da tempo che purtroppo la ripresa di cui si parla è solo statistica: muove qualcosa nel mondo dei numeri (e fa sperare) ma per ora non arriva nelle tasche del ceto medio né offre speranze di lavoro ai giovani. Quando a settembre arriverà la nuova ondata delle tasse, si diraderanno le nebbie sulla manovra, si riarpirà il fronte della scuola, il tutto con l’incognita spaventosa dell’area euro che traballa, sarà difficile per Renzi ripetere: “tranquilli, ho fatto le riforme”.

 

Chi lavora di più guadagna di più. Lo ha deciso Barak Obama. In America chi guadagnava più di 23 mila e 600 dollari l’anno non aveva il diritto al pagamento degli straordinari. Lavorava in più gratis. Non andrà più così perché servono dollari. Da spendere.

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