Il ritorno della guerra fredda, titola la Stampa e sotto: “Obama espelle 35 agenti russi”. Da New York e dal Maryland questi 35 agenti segreti, con copertura diplomatica, avrebbero spiato le elezioni americane, diffuso informazioni – a cominciare dalle scorrettezze della presidentessa del partito democratico, Wassermann, per aiutare la Clinton contro Sanders -, poi imbrogliato le acque in rete, in modo da favorire Trump. Il Cremlino annuncia ritorsioni. Siria: la Stampa chiarisce cosa sia la tregua annunciata da Putin. Erdogan ha convinto tre gruppi di ribelli a far tacere le armi: “l’Esercito siriano libero (Fsa) che già combatte insieme ai turchi vicino ad Aleppo, Ahrar al-Sham, combattenti salafiti da sempre appoggiati da Ankara ma che minacciavano di passare con Al-Qaeda. E infine Jaysh al-Islam, altro gruppo salafita armato e finanziato dall’Arabia Saudita”. Restano fuori dall’accordo Al-Nusra, Al-Qaeda (che l’esercito di Assad potrà ora combattere con più calma) e naturalmente l’Isis. Non firmano nulla i curdi, tagliati fuori per volere di Ankara. Ma controllano una parte importante del territorio siriano, con dentro due basi aeree americane. L’Arabia Saudita, dunque, perde terreno, gli Stati Uniti per il momento fuori gioco, il Corriere parla di “pax punitiva”, sia pure ancora provvisoria. Obama- Netanyahu: Thomas Friedman, editorialista piuttosto di destra del New York Times, si schiera con la Casa Bianca: “Gli amici non lasciano che un amico guidi ubriaco. E in questo momento Obama e Kerry credono che da ubriaco Netanyahu stia portando Israele verso l’annessione della Cisgiordania, che vorrebbe dire trovarsi con uno stato binazionale, arabo ed ebraico. Oppure diventare qualcosa di simile al Sud Africa del 1960, con Israele costretto a privare gran parte della popolazione di diritti fondamentali, pur di mantenere il carattere ebraico dello stato”.

Muro di gomma, il manifesto azzecca il titolo sulla conferenza di fine anno di Gentiloni. “Parla per ore e non risponde praticamente su nulla. Rivendica la continuità con Renzi, resta vago sui contrastatissimi voucher, si smarca sulla legge elettorale e sull’Irpef”. Repubblica e Corriere non osano tanto e dunque fanno finta di credere, nei titoli, a un Gentiloni fotocopia di Renzi: “Difende le riforme”, “Riforme da salvare”. Ma già i commenti prendono il largo: “I toni pacati del leader, un segno di rottura col passato”, Massimo Franco. “Mille sfumature di grigio – scrive Francesco Merlo – così Paolo il freddo ha fermato la giostra renziana”. A Renzi non resta che sperare nell’election day a giugno (politiche e comunali insieme), – scrive Maria Teresa Meli – ma sa già che “i partiti faranno melina”. Stefano Folli racconta “le due facce del premier”: “il primo Gentiloni è un presidente del Consiglio che si muove nel solco dell’assoluta lealtà verso il suo predecessore Renzi”, nel secondo “si avverte l’impronta del Presidente della Repubblica”. Lasciar fare al Parlamento la legge elettorale, ma vigilando che si faccia bene, cioè che si costruisca una legge coerente per Camera e Senato, un legge né per né contro nessuna forza politica. Inoltre – scrive Folli – ci vorrà “molta pazienza e molto tempo, facendo attenzione a non mettere il piede in fallo, per affrontare la drammatica vicenda delle banche. Nessuna fretta! Stile democristiano, in linea con Mattarella.

Bersani prova a dichiarare Renzi “nullo e mai avvenuto”. Vi sorprende? Ecco cosa scrive. “Il Pd non potrà riproporre idee come la rottamazione, o quella forma di giovanilismo un po’ futurista che ha contraddistinto l’ultima fase. Per il centrosinistra si impone una nuova piattaforma politica. Primo, riprendere in mano i diritti del lavoro. C’è poco da fare: se non mettiamo meno insicurezza, meno incertezza e meno precarietà nel lavoro; se prosegue l’umiliazione del lavoro; se non mettiamo più dignità e sicurezza nel mondo del lavoro, se tutto questo non accade, i consumi e gli investimenti non riprenderanno mai. Secondo, cercare di ridurre la forbice sociale.Terzo campo di azione: il ruolo del settore pubblico, diretto e indiretto, negli investimenti. Se il Pd e il campo progressista restano sul piano di un blairismo nato in altre fasi, rimasticato e ormai esausto, o se ci si mette sulla strada di un populismo a bassa intensità, si va a sbattere contro un muro”. “È st’acquaqua”, avrebbe detto Crozza, imitandolo. Io non riesco a capire come Bersani intenda riprendersi il Pd. Spera che 300mila fuoriusciti rientrino e diano battaglia, come è avvenuto nel Labour di Corbyn? E anche se fosse, con le primarie in cui vota chi passa, quanti sceglierebbero uno Speranza?

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