Vorrei viaggiare nello spazio verso la costellazione del Cigno e quel pianeta gemello che dista 1400 anni luce. Vorrei viaggiare indietro nel tempo di 45 per capire meglio come e perchè americani, golpisti e fascisti ordissero stragi come quella di Brescia. Invece sono qui, sempre a scrivere del colpo di stato permanente che ci cuciamo addosso ogni giorno noi italiani, di maggioranza e di opposizione.

La riforma della Rai è appena arrivata in aula al Senato e già il governo pretende di renderla operativa, con un decreto che renda inutile la discussione alla Camera e presentando un emendamento che gli permetta di nominare i vertici della azienda con la legge Gasparri, ma con i poteri previsti dalla nuova legge, e un DG che diventerà AD esarà il deus ex machina di Renzi nel mondo delle Tv. L’alibi,come al solito, è nobile: evitare un regime di prorogatio. La sostanza è sempre quella: ogni controllo del parlamento appare al premier una seccatura da cui occorre salvare Italia e italiani.

Il salvatore ha il volto tondo e i capelli candidi di un pluri inquisito. Denis Verdini ieri ha pranzato con l’uomo di spada del presidente del consiglio, Luca Lotti. Poi ha dato l’addio a Berlusconi. Con 10 senatori ore si offre al premier, il quale, indossata la giacca di segretario del Pd, avverte già i parlamentari del Pd: o votate la riforma costituzionale o voterà Verdini per voi, e resterete senza terra nè partito.

Matteo vuole tutto il potere, Mattarella lo mandi a casa, dice Della Valle al Fatto Quotidiano. Sì, vuole tutto il potere, perchè è convinto che i tempi siano duri, che i margini che mercati e Germania concedono all’Italia sono minimi, ed è perciò è necessario che il governo “ottimizzi” bonus e tagli alle tasse senza contrattazione nè corpi intermedi nè lungaggini parlamentari, è necessario che il governo guidi incontrastato la Rai e si sieda al tavolo della trattativa con Sky e Mediaset, che mantenga accesso l’altoforno dell’Ilva aggirando i magistrati con un altro decreto, che lanci ultimatum a Crocetta e a Marino come se Crocetta e Marino non fossero uomini del Pd, il partito di cui il premier è segretario. Vuole tutto il potere perchè ha l’idea di un’Italia che si cambia dall’alto e di un mondo in cui è necessario sgomitare adullando, per conquistare uno spazio vitale.

E qual’è, di grazia, l’idea delle opposizioni? A Salvini va bene così: finchè c’è Renzi sarà ospite fisso dei talk show e potrà dare la colpe ai migranti e all’euro. Grillo tace e i suoi ragazzi esrimono il sentire della “gente”, danno voce ai succhi gastrici di chi sta in basso e odia chi è in alto: finchè dura il colpo di stato, la rendita per loro è sicura. Poi chissà. Bersani chiede più rispetto per un partito che non c’è più. Nessun colpo di stato si compie senza una rimozione collettiva, senza che tanti si ritirino a guardare da dietro imposte semi chiuse, carichi di rancore verso altri che si sono rintanati in cantina, o che occhieggiano dal terrazzo.

Mi strappano la pelle di dosso, dice Vendola rinviato a giudizio per concussione aggravata. Il processo contro i Riva diventa processo all’ex presidente della Puglia, il quale almeno mandò per primo i controlli all’Ilva. Ma è la politica, tutta, che non ha saputo prevenire la strage di Taranto. Contro di me affari, massoneria, cosa nostra, dice Crocetta, che poco ha combinato contro quei poteri, ma ha dalla sua una telefonata infamante che non si trova in nessuna procura e la pochezza di coloro che l’anno ostacolato senza mai sfidarlo. Ho premuto reset sull’illegalità diffusa, dice Marino, sbertucciato per il degrado di Roma financo dal New York Times. Sì, l’ha fatto, ma un città come Roma non è ubbidiente come un Ipad. Un colpo si stato ha bisogno di tutte queste incapacità, di queste velleità, delle tante grida che si inseguono ogni giorno e si levano da ogni parte, per compiersi felicemente.

Meglio, cento volte meglio la Grecia che va verso il dirupo (una deflazione senza fine o l’incognita del Grexit) ma con la dignità di Tsipras che in Parlamento ammette la sconfitta e di Varoufakis che lo sostiene. Meglio la Spagna che ha toccato il fondo, e ora che in tre mesi si sono creati mezzo milioni di posti di lavoro, invece di gridare alla ripresa che lava tutte le colpe, cerca strane nuove e inesplorate.

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