La soap opera dello smog. “L’appello dei sindaci”, Corriere; “Piano dei governatori”, Repubblica: “Aria fritta”, secondo il manifesto. La foto di un ciclista per le strade deserte su ogni giornale”. Benedetta Tobagi ripropone, per il Corriere della Sera, una citazione che mi è familiare, tratta da “La Haine”, film del 95 sull’odio nelle banlieues: “È la storia di una società che precipita, e che mentre sta precipitando si ripete per farsi coraggio: fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene”. Non c’è altro da aggiungere.

La Spagna non avrà un governo delle sinistre. El Pais: “Il PSOE impone a Sanchez un congresso ed esclude (l’alleanza con) Podemos”. Ha vinto Susana Diaz, principale rivale di Sanchez e avversa a Podemos perchè Iglesias vuole il referendum sull’indipendenza catalana e lei no. Un no che si può capire da parte della governatrice dell’Andalusia, regione del sud e della prima riconquista, dove i socialisti han preso un quarto dei loro voti. Ma credo che, di fronte alla storia, abbia ragione Iglesias: Podemos ha conquistato il 24,7% dei voti in Catalogna, più dei “Repubblicani” (16%) e del partito secessionista di Artur Mas (14%). Ada Colau, l’alcade di Barcellona, vuole anche lei il referendum ma dice chiaro che voterà no alla secessione. La maggioranza del PSOE sceglie, invece, un nazionalismo spagnolo senza se.

Allora fumiamoci un italicum. É quel che scrive oggi Paolo Mieli. Dopo oltre trenta anni di alternanza – socialisti o popolari – pure la Spagna è divenuta ingovernabile: dunque perché non provare una legge elettorale che attribuisce con certezza il premio di maggioranza alla forza che, arrivata prima o seconda (non importa con quanti voti), abbia poi prevalso nel ballottaggio? L’Italicum, appunto. Potrei obiettare che questo sistema non dà ai cittadini il diritto di scegliere nel collegio il loro rappresentante e non somiglia al doppio turno in Francia. Favorisce, invece, l’identificazione del governo e del partito di governo in un sol uomo, arbitro di ogni cosa per l’intera legislatura. Ma il punto è un altro: questo vincitore rappresenterebbe in Spagna solo una delle quattro anime in cui si è diviso l’elettorato e taglierebbe tutte ragioni, anche valide, delle altre tre: Baschi, Catalani lo considererebbero un usurpatore; così pure gli Andalusi del PSOE se vincesse Rajoy. E crescerebbe la tentazione di unirsi, anche fra opposti, pur di fermare l’uomo forte. Il voto come roulette russa.

L’Isis ripiega ma non è una vittoria, scrive Maurizio Molinari. Perché – dice – l’Isis può lasciare Ramadi dopo Kobane e ritirarsi per centinaia di chilometri, come facevano le tribù guerriere, per tornare poi a colpire. A me pare che questo pericolo sia molto più forte in Libia: perciò ho paura quando Repubblica, dopo l’incontro del Presidente del Consiglio con il premier libico designato Fayez Serraj, titola in prima pagina: “Renzi, pronti a intervenire contro l’Isis in Libia”. In Iraq e Siria, invece, serviva al Califfo usare le città come vetrina del suo presunto stato islamico, marmellata per i foreig fighters che accorrevano. É vero che Al Bagdadi da qualche mese sta internazionalizzando il conflitto e parla di Yemen, Libia, Egitto e Giordania, come nuovo teatro dei suoi crimini. É vero che ora cerca di farsi paladino della rivolta dei coltelli contro Israele e che attacca l’Arabia Saudita in nome della comune fede wahabita. Ma uno stato islamico senza stato perderà parte del suo appeal e sarà più facile nelle moschee usare il Corano contro i tagliagole. Magari pure contro i discendenti di Saud.

Più forte e Poletti che pria! Scusate, ma a ogni sbrasata del nostro ministro del lavoro mi sembra di aver davanti la contro figura del Nerone-Petrolini. Mentre le donne dal 2016 andranno in pensione 22 mesi dopo, lui assicura, sulla Stampa, che con il part time (negli ultimi tre anni di lavoro, inserito nella finanziaria) le imprese torneranno ad assumere. L’ha detto Poletti. Federico Fubini, invece, cita 3 autorevoli consiglieri econonici dell’Europa. Dicono che “dagli anni ’90 il reddito per abitante in Italia perde terreno rispetto alle altre economie europee” e la produttività “in Italia, caso quasi unico, va giù da 15 anni”. Agli economisti di Bruxelles, beninteso, piace la svalutazione del lavoro (jobs act, meno diritti) ma pensano che non basti: troppo pochi laureati, non investiamo in ricerca né in formazione.

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