La grande paura, così Repubblica sul lunedì nero delle borse – Milano -4,69%, Francoforte -3,30, Parigi -3,20, Londra -2,71% – “Spread in tensione, borse giù”, scrive il Corriere e la Stampa titola “L’Europa studia un nuovo trattato”. Su Repubblica troverete il documento con cui Jens Weidmann e François Villeroy De Gahlau, governatori delle banche centrali di Germania e Francia, chiedono “un Tesoro unico per la zona euro, con un consiglio di bilancio indipendente; un organo politico più forte per prendere le decisioni politiche, sotto il controllo del Parlamento”. Correva il 1997, quasi 20 anni fa, quando ad Amsterdam il ministro francese Dominique Strauss Khan – e solo lui – diceva che un’Europa con una moneta comune non sarebbe andata lontano senza un unico ministro del tesoro, controllato dal Parlamento, interlocutore necessario delle banche centrali. Allora l’idea corrente di banchieri e politici era opposta: l’Euro sarebbe stato più forte se lo si fosse protetto dalla politica e dal controllo parlamentare, affidandosi solo ai trattati e lasciando piena autonomia alla super banca di Francoforte. Che è successo in mezzo? La crisi del 2008. Poi una ripresa in occidente senza redistribuzione del reddito né ripresa significativa delle assunzioni. Ora il rischio è che la fabbrica del mondo, la Cina popolare, debba svalutare in modo brusco la sua moneta e la paura degli investitori che grandi banche possano soccombere perché non si sono liberate di derivati tossici o hanno in pancia troppi titoli dei debiti nazionali.

E l’Italia balbetta. É quanto di più generoso si possa dire dell’attitudine del nostro governo. Renzi – assicurano i retroscenisti – non si preoccupa dello spread, “era a 200 quando sono arrivato, ora (è risalito) solo a 150”! Dimentica, il nostro, che grazie alla sua politica il debito pubblico dell’Italia non è diminuito e il deficit è tendenzialmente aumentato. Ma Renzi – scrive il suo aedo, direttore dell’Unità, Erasmo De Angelis, – “non lecca più gli euro burocrati ma li mette sotto stress”. Gli risponde Paolo Mieli: “Non esiste un’entità continentale alla quale possiamo rivolgerci come se fosse una controparte, a cui sia legittimo chiedere flessibilità, altra flessibilità e ancora flessibilità. L’Europa matrigna è frutto di una suggestione. L’Europa non è altrove. L’Europa siamo noi. Nient’altro che noi”. Renzi fa il Renzi: parla di primarie per l’elezione del presidente della commissione ma elude la questione se la zona euro debba o no avere un’unica politica fiscale sotto il controllo di un solo parlamento. Se la proposta (tardiva) dei banchieri centrali avesse seguito, non ci sarebbe spazio per furbizie, ricatti politicanti, dichiarazioni dopo i vertici rivolte al mercato (politico) interno.

Manager contro manager, Parisi contro Sala, destra contro destra anche se camuffata e con indosso la maglietta del Che. A Milano è affondata l’esperienza Pisapia, che ieri ha ricevuto un necrologio postumo persino da Francesco Merlo di Repubblica. Ora, per riparare la frittata, si parla di una candidatura di Civati contro Sala o di una lista arancione in appoggio a Sala che ne condizioni le scelte. Il problema vero è che la crisi delle nostre classi dirigenti (imprenditoriali, giornalistiche, politiche) è entrata, dopo i successi trasformisti di Renzi, in una fase nuova: non si discute più di politica ma di gestione, del fare – come direbbe il premier – contro il gufare. “Non importa – diceva Deng Xiaoping – se un gatto è bianco o nero, finché cattura i topi”. A Milano consulenti della Moratti, manager di Expo. In Calabria il nuovo centro destra, in Sicilia clienti di Cuffaro e Lombardo, ex sodali di Berlusconi e Schifani, imprenditori con frequentazioni in odore di mafia, tutti folgorati sulla via di Faraone. Viene da chiedersi se gatti siffatti – neri, nerissimi – sapranno prendere i topi?. Mi permetto di dubitarne. Se leggete il saggio con cui l’economista principe del renzismo, tal Nannicini, oggi si arrampica sugli specchi per spiegare a Ricolfi, del Sole, “perché (quella in corso) non è una ripresa senza lavoro”, ve ne renderete conto. Per non parlare della intermediazione parassitaria che aumenterà la presa (di che altro volete che campi la classe politica che dalla destra sta passando nel partito di maggioranza?) sul meridione d’Italia.

Mattarella da Obama, Merkel da Erdogan. Il Presidente della Repubblica ha parlato alla Casa Bianca delle nostre preoccupazioni per il flusso di migranti nel Mediterraneo e del rischio di una guerra in Libia. A quanto è dato capire, Obama gli ha risposto che la Libia è affare degli europei e che, certo, sarebbe meglio attendere che un governo credibile chieda un intervento. Inoltre avrebbe accennato a “navi e aerei” (americani) che potrebbero dar manforte per i soccorsi ai profughi del mare. Angela Merkel, invece, si è detta “inorridita” per i bombardamenti russi su Aleppo. Il governo di Ankara se ne è compiaciuto ma ha detto che aprirà le frontiere ai profughi – quelli che muoiono di stenti perché fuggono dalle bombe – solo quando sarà tempo. Insomma, quando saranno arrivati i miliardi promessi dall’Europa, quando Turchia e Arabia Saudita saranno in grado di sostituire “ribelli” troppo simili alle truppe del Daesh con eserciti sunniti in funzione anti russa e anti Iran, anti sciiti, anti alawiti e anti curdi. Così il male non è più il Daesh (e i suoi utilizzatori turchi e sauditi) ma diventa l’intervento – spietato, disumano – dei russi. Com’è lontano l’orrore per il Bataclan!

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