“Raggi chi critica è fuori”, titola Repubblica, “Su Roma lo scontro Pd-M5S”. Anticipata dai social, la sindaca ha richiamato i 5 stelle al loro orgoglio: non siamo noi i corrotti, né abbiamo provocato noi – ma chi ha governato prima – il dissesto della Azienda Roma. Sulla seconda affermazione ha certo ragione. E anche sulla prima, sebbene sembra che il consigliere Stefàno abbia “raccomandato” al manager Rota una società privata per un appalto, e questo, anche se di per sé non prova alcuna “corruzione”, dimostra però che certe cattive abitudini possono filtrare anche fra gli “onesti”.

Il punto è un altro. Ora che i 5 stelle hanno ereditato (ormai da più di un anno) il disastro altrui, cosa propongono? Che stanno facendo per i trasporti, per la gestione di acqua e rifiuti? A me pare che facciano poco, che si sentano assediati – e lo sono, anche per via di certi loro errori, e mi riferisco ai tanti “tecnici” prima chiamati e poi allontanati -, ho l’impressione che si chiudano a riccio, rinviando scelte che sono invece urgenti.

Limitiamoci a prendere in esame il caso Atac. Ben prima delle dimissioni di Rota, Walter Tocci aveva firmato la proposta di referendum radicale per la “liberalizzazione” del trasporto pubblico romano. Tocci parla di “liberalizzazione” non di “privatizzazione”: il controllo sul sistema rimane pubblico, le ditte private devono impegnarsi a rispettare gli obiettivi indicati dal comune – pena la decadenza del contratto -, né potranno licenziare autisti, operai e impiegati, ma solo i dirigenti.

Non è una cosa facile da farsi, ne convengo. Ma allora cosa? Portiamo i libri in tribunale – come propone Rota -, tagliamo sprechi e consorterie, chiediamo ai romani di sopportare un periodo non breve di gravi disagi, fino a quando non sarà stato possibile risanare l’azienda pubblica? Virginia Raggi non ha scelto né l’una né l’altra strada. E allora? Allora se la crisi andrà avanti, prima o poi arriverà un colosso industriale disposto a prendersi Atac a prezzo da saldo. Si presenterà come il salvatore, poi licenzierà, privilegerà solo il trasporto che può rendere meglio, farà profitti esautorando il comune. Dunque, cara sindaca, non basta essere onesti, bisogna anche saper scegliere. Se possibile, nell’interesse della collettività.

“Libia, Haftar attacca”, il Corriere intervista il dominus di Tobruk. Il quale dice che le navi italiane non potranno penetrare in acque libiche, meno che meno i nostri militari potranno fermare i trafficanti – tale privilegio spetta ai libici -, né dovranno mai mostrare un’arma. Aspetto con ansia che il decreto – pare dopodomani – arrivi in Parlamento per capire cosa andremo a fare in Libia, con quali obiettivi strategici e quali presunti vantaggi.

Matteo Renzi ha parlato: “il premier lo decidono gli italiani col voto”. Se ben comprendo, liberi tutti. Nessuna alleanza, nessuna modifica alla “linea”, fino all’aprile del 2018. Poi, se il Partito di Renzi avrà preso parecchi voti, il suo segretario chiederà palazzo Chigi. Se no, bisognerà cercare accordi.

Ma Repubblica non lo lascia in pace. Scalfari gli sventola sotto il naso il pericolo Macron – come il torero mostra il rosso al toro – e gli ingiunge di imbarcare in squadra Prodi, Letta, Veltroni. Giannini si schiera per una nuova legge elettorale con premio alla coalizione, magari, al 35%. Renzi sarebbe costretto ad allearsi e a passare la mano, avendo egli ormai il profilo di un solista, incapace di comporre e mediare. Infine Berlusconi, intervistato da Repubblica, tesse l’elogio di Mattarella, si propone come difensore degli interessi italiani contro Macron, chiede a Pd e 5 stelle di approvare insieme a settembre una nuova legge elettorale…su modello tedesco.

Questo è lo stato dell’arte. Quanto alla farina del mio sacco, mi limito a dire che una legge proporzionale con sbarramento al 5%, in cui una parte dei deputati e dei senatori vengano scelti dagli elettori in collegi uninominali (a condizione che questo collegi non siano enormi e che si possa esercitare il voto disgiunto – uno al candidato del collegio un altro per la lista proporzionale -, beh una tale legge -che non è la mia preferita – non mi parrebbe, tuttavia, uno sproposito e potrei votarla.

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