La notizia oggi è una. E che notizia! Il Corriere schiera i suoi due cronisti di punta, Giovanni Bianconi e Fiorenza Sarzanini. Il titolo recita “Consip, l’appalto fu truccato”. La fonte è, con tutta evidenza, Cantone, capo dell’anticorruzione. Tre gruppi, quello di Romeo, da tempo agli arresti domiciliari, insieme con due maxi cooperative, si sarebbero messe d’accordo per spartirsi due miliardi e settecento milioni (2.700.000.000) dell’appalto Consip, tagliando fuori i concorrenti.

Dunque Henri John Woodkock non è uno che si inventa le inchieste. Al contrario, ha avuto ragione a indagare su Alfredo Romeo e, una volta assodato che almeno una tangente era stata pagata a un funzionario Consip, ad arrestarlo. Inoltre la prova logica induce a pensare che la fuga di notizie non fosse da attribuire alla “voglia di visibilità” di un inquirente, ma piuttosto a una qualche “manina” interessata a buttare l’inchiesta in caciara.

Da parte Bianconi e Sarzanini ricordano, nel loro articolo, come siano indagati, a vario titolo per vicende che girano intorno all’appalto Consip, “Tiziano Renzi e il suo amico Carlo Russo”…il ministro Luca Lotti, il comandante generale dell’arma dei carabinieri, Tullio Del Sette e il generale Emanuele Saltamacchia. Il Corriere stampa le loro facce. Per carità, si tratta di presunti innocenti fino a prova contraria. Ma chi già pretendeva le scuse, come se tutta l’inchiesta fosse una montatura ai suoi danni, oggi dovrebbe dare atto ai magistrati napoletani di essersi mossi per nessun altra ragione che accertare la verità.

Con lo scoop il Corriere si salva dal chiacchiericcio demagogico e melenso inzuppato di frasette allusive come “aiutiamoli a casa loro” o “pugno di ferro contro le ONG conniventi”. Frasi che in bocca ai replicanti diventano “in mare non possiamo salvarli tutti” (Esposito, senatore Pd) o “tassiamo chi accoglie i profughi” (sindaca Pd di Codigoro). Oggi il sottosegretario agli Esteri, Mario Giro, si ribella a simili scempiaggini e auspica che le nostre navi prendano a bordo anche i migranti bloccati in mare dalla guardia costiera libica.

Ieri questo non è avvenuto. Gli amici di Serraj hanno infatti bloccato 5 barconi e, a uso della stampa italiana, hanno riportato in Libia più di ottocento persone, donne e bambini. Il Tg3 delle 19 ha presentato l’evento come un successo della politica del nostro governo. E io questo non lo contesto: un Tg può scegliere di essere “istituzionale”. Può ben ritenere che certe misure restrittive dei salvataggi in mare interpretino dopotutto un sentimento (o una preoccupazione) nazionale. Me l’autore del servizio non ha sprecato una parola (non una sola!) su cosa attenda in Libia quei disgraziati. Lo sappiamo: torture, campi di concentramento, spesso la morte.
Se riteniamo necessario trattenere i migranti sull’altra costa del Mediterraneo, allora prima pacifichiamo la Libia, poi vigiliamo che i campi di accoglienza non siano dei lager indecenti. Altrimenti ci renderemo complici di strage e tortura. Intanto ieri a Tripoli (non a Bengasi) alcune bandiere italiane sono state bruciate. Vorrei dire ai patriottardi di agosto, ai predicatori sempre verdi dello “armiamoci e partite”, vorrei dire che un intervento in Libia, per non diventare un suicidio, dovrebbe almeno essere concordato tra Italia e Francia, dispiegarsi sotto l’egida dell’Unione Europea e ottenere l’avallo delle nazioni unite.

Lo so, lo scrivo ogni giorno, Stati Uniti e Russia, Cina, Turchia e India agiscono da tempo senza più pudore come le vecchie potenze nazionaliste. Ma se provassimo a imitarli, saremmo sciocchi e grotteschi. Lo fummo, persino, quando il Re Imperatore e il Duce del Fascismo ci portarono in Africa a cantare “faccetta nera”. Figurarsi oggi, con l’asse del confronto imperiale (e imperialista) che si è spostato in Asia e le due sponde dell’Atlantico che appaiono politicamente distanti. No, cari detrattori di questo blog (in nome del pragmatismo e dell’interesse nazionale) forse non sono io un sognatore, ma voi fuori dal tempo e dalla realtà.

A proposito, il sermone domenicale di Scalfari oggi è dedicato alla Rivoluzione, che torna possibilità concreta nel mondo, e all’Europa che ne potrebbe essere il centro. Ridete, pensando alla sua età avanzata? Beh, sappiate che i segni premonitori non mancano. E se non fosse una rivoluzione quella che ci attende, potrebbe essere una guerra distruttiva. Ieri il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, all’unanimità – quindi anche col voto di Russia e Cina – ha varato nuove sanzioni contro la Corea del Nord. Ma agli Stati Uniti questo non basta: minacciano una guerra preventiva. Perché Trump, sempre più nei guai per gli insuccessi parlamentari e l’inchiesta a suo carico , sembra essersi consegnato a un gruppo di generali interventisti. Ma l’aggressione alla Corea farebbe precipitare lo scontro tra USA e Cina. Dio non voglia.

Infine il Venezuela. Maduro usa la Costituente come una clava. Ieri ha destituito la procuratrice generale, la chavista della prima ora Luisa Ortega, che si è sottratta all’arresto scappando su una moto. Ma l’opposizione si divide (sulla partecipazione o meno alle elezioni regionali) e su come gestire la protesta (se puntare tutto, come fanno molti giovani estremisti, sulla violenza di piazza per dare la spallata a Maduro). Lo ripeto: quando un regime tocca le vette di violenza e di repressione che il Venezuela ha scalato, io sono contro quel regime, per quanto buone ne potessero essere le intenzioni e condivisibile l’anelito di giustizia sociale. Ma coloro che si schierano con la grande borghesia venezuelana nonostante (o forse proprio perché) tra loro ci siano i responsabili dello sfascio, della rapina coloniale, dell’umiliazione di tutto un paese, no costoro non hanno ragione. E credo che si sbaglino di grosso, incamminandosi lungo una strada che rischia di sprofondare il Venezuela in una guerra civile ancora più sanguinosa, e magari alla fine di consegnare il paese a Maduro.

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