“Non era previsto nel formato”, ha detto un funzionario francese. Non era previsto che anche Renzi, insieme a Hollande e Merkel, tirasse le fila del vertice di Bratislava. Addio sogno di Ventotene: il motore (ingolfato) dell’Europa è solo franco tedesco. Davanti al crollo evidente della sua narrazione, il nostro ha riflettuto un attimo ed è passato al contrattacco: “Non può trattarmi così (Angela Merkel) gli altri sanno solo obbedire”; Repubblica mette la frase tra virgolette. “Non ci tengono buoni con i contentini” (quali, di grazia?), scrive la Stampa narrando “la furia del premier”. “Strappo con Berlino e Parigi”, titola il Corriere. Lo strappo, secondo Verderami, sarebbe una “Mossa studiata anche per parlare agli elettori”. Elettori di centrodestra, che dovrebbero votare Sì al referendum, considerando Renzi una sorta di vendicatore del Berlusconi, il quale venne umiliato dai risolini franco tedeschi, della Merkel e di Sarkozy. Repubblica non commenta. “Renzi: no a Merkel e Hollande” è il titolo. Non commenta – anzi, non ne parla proprio- neppure il Giornale. Strano. Il Fatto infierisce: “Renzi umiliato in Europa”. Anche per la Stampa “Lo Strappo di Renzi” si spiegherebbe con il tentativo di salvarsi dalla sconfitta referendaria: “Davanti alle difficoltà di far quadrare la legge di Stabilità – chiede l’inviato a Bratislava – Renzi potrebbe decidere di andare avanti anche mettendo nel conto il diniego di Bruxelles? Una sfida esplicita all’Unione europea?”

Non c’è niente da ridere! Nel film Stanlio e Ollio alla fine riescono a non farsi sbattere fuori casa, loro e il cane, ma solo perché intanto è scoppiata un’epidemia e l’edificio è stato posto in quarantena. No, non c’è proprio da esultare se l’intera politica del Renzi sta andando in frantumi. Se la ripresina non ha portato né lavoro né consumi, se bonus e sgravi elettorali hanno peggiorato i conti dello stato, rendendo l’Italia ancora più fragile, se le riforme (Jobs Act, Scuola, Rai, Pubblica amministrazione) non hanno frenato la corsa della spesa pubblica, se la linea della furbizia, sperimentata in Europa (non difendo Tsipras, mi tengo buona Merkel e poi presento il conto), è stata scoperta e bollata. Credetemi, il fallimento di Renzi è stato così rapido (due anni e mezzo, non i venti di Berlusconi!) perché il mondo si è messo a correre ma in una direzione che non è facile capire. Dopo 70 anni è finita la lunga pace di cui abbiamo goduto noi occidentali. Crolla il prezzo delle materie prime, i paesi già emergenti di ritrovano in mutande. Crescono le disuguaglianze in America e in Europa. Aleggia il fantasma della depressione. L’America non detta più legge in Medio Oriente. Russia, Iran, Cina dialogano tra loro e il patto atlantico, tra Europa e Stati Uniti, si sfarina. Oggi Financial Times scrive che le Corporation (ben 180 CEO) si allineano con Apple, nella battaglia contro Bruxelles che pretende (nientemeno!) che si paghino tasse. International New York Times fotografa così gli umori dell’America che sta per scegliere il presidente: “Gli elettori pensano che Trump offra grossi rischi ma grandi ricompense. Clinton viene giudicata superiore quanto a competenze ma non è vista come portatrice di cambiamento”. Non è proprio il caso di godere per i guai, o per la prossima caduta di un giovane premier, ambizioso quanto ignorante, che straparla di una “Battaglia di Marzabotto”, ignorando che a Marzabotto non ci fu battaglia, solo una strage nazista iniziata con l’assassinio di civili nella chiesa. Bisogna guardare oltre: sia che resti in Europa (come io spero) sia che sia costretta a uscire dall’euro, l’Italia ha bisogno di una politica coraggiosa, che cambi le alleanze internazionali, rompa con i tabù eretti dal neo liberismo, immagini nuove forme di solidarietà e di condivisione.

Carlo Azeglio Ciampi l’epigrafe se l’è scritta da sé, citando San Paolo a Timoteo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. La sua fede era quella di un borghese, nato a Livorno nel 1920, che dopo l’armistizio si rifiutò di servire il nazi fascismo, nel 48 si iscrisse alla CGIL e tenne la tessera, in banca d’Italia fino al 1980. Il suo segreto lo racconta Roberto Napoletano sul Sole: «l’ansia ci permette di vedere prima i problemi, e quindi può essere un vantaggio. A una condizione, però, che si individui un metodo per gestirla». Presidente, lei lo ha trovato? «Sì, una squadra di collaboratori competenti e fidati”. I leader servono, ma la loro forza sta proprio in questo, nella capacità di aver fiducia, di delegare per poi controllare. Un leader che ha rispetto per le sue doti sa ascoltare. Scrive Valentino Parlato: “Le conversazioni tra noi – lui Governatore della banca d’Italia, io giornalista de il manifesto – erano libere, senza da parte sua alcuna riserva, anzi, direi, con una certa curiosità e, per me, di grande stimolo e altrettanta curiosità”. Comunque la pensiate sull’euro è un fatto che Ciampi seppe usare il suo prestigio e la sua tenacia per farci entrare in Europa non dalla porta di servizio, non con il cappello in mano. Oggi Salvini lo definisce “traditore”. Immagino traditore dell’Italia e della sua sovranità monetaria. Che detta dall’erede del Bossi, dall’attuale segretario della Lega Nord, è proprio grossa. Ciampi premier, lo ricordo preoccupato e spaventato quando, il 28 di luglio del 1993, due autobomba mafiose furono fatte esplodere a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro, nel centro di Roma. Il giorno prima le stragi di via dei Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano. Per il 31 ottobre era stato programmato l’attentato finale: allo stadio olimpico di Roma. “Ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato” confesserà Ciampi. Pochi giorni dopo quello spavento, il 2 agosto, giorno dell’anniversario della strage dalla stazione di Bologna, disse: “È contro la prospettiva di uno Stato rinnovato che si è scatenata una torbida alleanza di forze che perseguono obiettivi congiunti di destabilizzazione politica e di criminalità comune”. Forse non ci capì molto, ma non si piegò. Un’ombra? Ne scrive Valentino Parlato: “non essersi opposto (da presidente della repubblica) all’intervento militare in Kosovo, voluto dall’allora primo ministro Massimo D’Alema per piacere alla Nato.

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