Rivoluzione democratica in Spagna. Non meno di questo è accaduto ieri, nell’urna, a Madrid e Barcellona. Un partito che aveva il 44 per cento dei voti e la maggioranza assoluta in Parlamento e che può vantare, stando ai numeri del PIL, di aver traghettato il paese dalla recessione alla ripresa, raggiunge a fatica il il 28 per cento – 16 punti percentuali in meno – e non gli basterà a governare nemmeno l’intesa non facile con la lista anti-casta moderata di Albero Rivera, Ciudadanos, che si ferma sotto il 14%. Rajoy, il premier, si è candidato a succedere a se stesso – “Proverò a formare un governo, la Spagna ne ha bisogno”- ma verosimilmente gli sarà impossibile trovare un’intesa con forze regionali e nazionaliste, visto la posizione intransigente che il governo ha preso nello scontro con la Catalogna.

Due partiti quasi pari a sinistra. Il partito socialista, del giovane e dinamico Sanchez, lascia sul campo oltre 6 punti in percentuale e con il suo 22,7% viene quasi raggiunto dalla novità Podemos, che supera il 20 per cento dei consensi. In teoria le sinistre unite potrebbero fare maggioranza, qualora chiudessero un accordo con la Sinistra Repubblicana della Catalogna e con il Partito Nazionalista Basco, oltre che con Izquierdia unida (che ha preso solo 2 seggi). Ma Sanchez dovrebbe non solo – e lo ha già fatto –  chiedere aiuto a Iglesias – leader di Podemos che, dopo i lazzi e frizzi dei nostri commentatori, perché i sondaggi davano Podemos in crisi, si è confermato la vera novità e il vincitore di queste elezioni -, ma dovrebbe anche cambiar radicalmente verso alla politica del PSOE.

É finito il bipartitismo. Iglesias non ha avuto neppure bisogno di dirlo, nel discorso della vittoria. Ha detto “Oggi è nata una nuova Spagna, che ha messo fine al sistema dell’alternanza” (destra – sinistra), oggi si impone “un nuovo accordo territoriale che rispetti il carattere plurinazionale del nostro paese”. Podemos, che è stato “il partito più votato in Catalogna e nel paese Basco e la seconda forza politica a Madrid e Valencia, oggi guida il cambiamento” (e si propone di ricucire la nuova Spagna). “É imprenscindibile – ha detto Iglesias – una riforma costituzionale” (federalista) e il rilancio “della sanità e della scuola pubblica”. Necessaria “una nuova legge elettorale proporzionale”. Ha parlato dunque di politica, il giovane leader e ha proposto Podemos come lievito e motore di una nuova alleanza attentamente democratica, capace di cambiare la Spagna per restare in Europa.

Benvenuti in Italia, titola l’editoriale di El Pais. Il fantasma dell’ingovernabilità, “il panico” che si manifestò nel Belpaese dopo la vittoria di Grillo, possibili alleanze innaturali destra sinistra (le larghe intese) per contenere (e se possibile ridurre) l’impatto rivoluzionario del voto, ora tutto è possibile. Il Fatto titola: “Una Spagna all’Italiana”. “La Spagna si frantuma”, scrive la Repubblica. Stamoa e Corriere riconoscono la “vittoria a Rajoy, ma senza maggioranza”. Ecco che Maria Elena Boschi ieri ha commentato a caldo: “mai come stasera è chiaro come sia utile e giusta la nostra legge elettorale”. Vediamo. Con l’Italicum domenica gli spagnoli voterebbero ancora, per scegliere il loro primo ministro tra i due sconfitti del primo turno, tra Rajoy e Sanchez. Uno dei due, sostenuto verosimilmente fa non più di un iscritto alle liste elttoriali su 5, andrebbe al governo e con in Parlamento una larga maggioranza assoluta. Dunque una legge “utile e giusta” – l’Italicum – perché contraddice il volere del popolo. Se al doppio turno prevalesse Rajoy (cosa probabile), Catalani e Baschi spingerebbero sulla secessione, scoppierebbero rivolte di piazza contro le politiche liberiste Merkel-Rajoy, ma si affermerebbe la sospirata “democrazia decidente”. Contenti voi!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.