L’Italia come il vestito di Arlecchino, o come una strada piena di toppe che mettono a rischio gli ammortizzatori. É la conseguenza di una crisi politica che si trascina da decenni e ha logorato, consociato e infine screditato le classi dirigenti. Come se ne esce? Servirebbe fermarsi a discutere, dirci che Europa vogliamo costruire, cosa intendiamo produrre noi Italiani, come garantiremo protezione sociale e benessere ai cittadini, quali forme democratiche siano le più adatte per controllare chi decide, il quale è tanto più forte quanto meno il suo potere appare incontrollato e dunque arbitrario. Invece: “La manovra dei tanti bonus”, piange il Corriere. Ce n’è per tutti. Non si chiude più un contratto di lavoro, non si riesce mai a varare la famosa spending review, nè a riformare il fisco, nè a far ripartire le assunzioni. Ecco allora che dobbiamo contentarci dello sgravo fiscale a chi ha tre figli, del bonus ai diciottenni, del salva banche, di una proroga dei contratti per 7mila precari siciliani, di qualche assunzione per sanità e forze dell’ordine, e di un bonus al Casinò di Campione che perdeva 105 milioni. Pezze di tutti i colori, affastellate in una precarissima legge di stabilità, un mostro giuridico che conta ben 1364 commi.

Visco: qualcuno pagherà. Il governatore della Banca d’Italia ha deciso di parlare. Stasera con Fazio a “Che tempo che fa”, stamani a Repubblica alla quale ha detto di non aver mai pensato di dimettersi quando Renzi ha affidato a Cantone l’arbitrato per i rimborsi ai risparmiatori truffati, nonostante il premier avesse fatto intendere che Bankitalia non fosse sufficientemente “terza”. Visco sostiene che l’incontro con Matterella era fissato da tempo e che i rapporti col governo sono di piena e leale collaborazione. Insomma smentisce l’interpretazione corrente, riproposta anche dalla Stampa: “Visco era pronto a dimettersi, fermato da Mattarella”. Per il Giornale il fatto che il governatore va in televisione dimostra che “Renzi è nei guai, i poteri forti lo vogliono mollare”. “Se il governo non si fida della Banca d’Italia e della Consob la cosa è assai grave”, scrivono Alesina e Giavazzi sul Corriere. Intanto si è passati dal chi ha sbagliato pagherà della Boschi al qualcuno pagherà, di Visco. Abbiamo capito, ma alla fine chi pagherà? Per il Fatto “Consob mentì ai risparmiatori”: sapeva del “degrado irreversibile” di Banca Etruria ma le consentì di vendere le obbligazioni. Odo rumor (non di sciabole, come disse Nenni) ma di coltelli. O, se preferite, tutti cercano un ombrello e sperano che qualcun altro si becchi la pioggia. Padoan (intervista alla Stampa) spiega la “rigidità sulle banche” con il “pregiudizio tedesco”. Enrico Letta (sul Fatto) condanna lo scaricabarile del governo e vede emergere “il pericolo di un’Italia anti europa”.

Paso doble, titola il manifesto, sopra una foto di Pablo Iglesias, che “ha vinto tutti i duelli televisivi” – è vero – tranne quello con Rajoy, che non c’è stato perché il premier si è sottratto. “Gli spagnoli decidono oggi il profilo di una nuova era politica”, titola El Pais. Pare proprio che così sia. Secondo i sondaggi, bipolarismo sepolto in Spagna. In testa i Popolari, che non dovrebbero comunque toccare nemmeno la “vetta2 di un 27%. Poi, in un unico fazzoletto, socialisti, Podemos e Ciudadanos. Distaccata ma viva, Izquerdia Unida. La Spagna avrà un governo di coalizione e la scelta del Re, su chi debba guidarlo, non appare scontata. Che lezione trarne? Per me è chiaro. Che non c’è legge maggioritaria che tenga. Se gli spagnoli avessero l’Italicum, al secondo turno i più si coalizzerebbero per buttare giù dalla torre il vincitore (di misura) del primo turno. C’è davvero molta confusione sotto i cieli d’Europa e a volerla esorcizzare facendo i bulli si finisce, di pezza in pezza, come l’apprendista stregone.

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