“Sui profughi non cambio idea”, Corriere. “Guerra all’Isis, ma non chiudo le porte”, Repubblica. Angela Merkel ha detto quello che una statista non poteva non dire. Di questi tempi è cosa rara, e i due principali quotidiani le danno l’apertura. Ora, se l’Europa a guida tedesca volesse essere qualcosa di più di un mercato e di un’unione monetaria che drena denaro verso il centro e mette nei guai le periferie, Merkel dovrebbe rivedere l’accordo con Erdogan, fin quando Erdogan non cambi la sua politica di dura repressione e di violazione dei diritti e delle libertà, e dovrebbe dare un senso a questa frase troppo spesso ripetuta “guerra all’Isis”. Combattere l’Isis significa smettere ogni indulgenza nei confronti dell’Arabia Saudita (la cui dottrina ideologico-politica è troppo simile a quella di Al Baghdadi e di Al Zawahiri), trovare un’intesa, un accordo parziale, con Iran e Russia, difendere i curdi, non appoggiare, né dal punto di vista politico né commerciale, alcun governo che violi i principi della carta dell’Onu. Vedi l’Egitto. Infine costruire corridoi umanitari, non per accogliere “tutti” i richiedenti asilo, ma per impedire che costoro diventino schiavi di mercanti e terroristi.

Parla Gülen. “Erdogan è avvelenato dal potere”, dice. Ribadisce la sua estraneità al tentativo di colpo di stato di alcuni militari, afferma di volere una Turchia islamica ma che rispetti tutti i valori e i diritti per poter entrare a far parte dell’Unione Europea. Se si legge bene l’intervista dell’imam miliardario ai giornali europei, si capisce che sta parlando all’America: sono io, spiega, l’unica garanzia che che la Turchia non cambi le sue alleanze e non si butti nelle braccia della Russia e di Putin. Ma, questo è il punto, quale sarà la leadership a Washington, non tra anni ma alla fine dell’anno? International New York Times oggi parla della tensione “storica” tra la Clinton e Putin. Trump si è spinto fino a chiedere ai russi di rivelare il testo delle mail che Hillary aveva spostato dagli account del dipartimento di stato a quelli suoi personali. Oggi giornalisti, fino a ieri incondizionatamente clintoniani e pronti a sfottere e sminuire Bernie Sanders, scrivono che la strada della Clinton è in salita. Perché dire – e far dire a Bill e Barack – “io sono la più brava” non basta. L’americano medio chiede e si chiede: “e a me di questa tua bravura, che ne viene”? “Costruiamo un paese unito, giusto, tollerante”, ha detto stanotte la candidata. Dovrà rispondere alla domanda: Come?

Si prendono pure il TG3, titola il Fatto. Si prendono, chi? Renzi e il gruppo di potere che sta a Palazzo Chigi. L’idea è che la “spazzolata” per i super stipendi al vertice della Rai, vertice recentemente e nella sua interezza nominato da Palazzo Chigi, serva per stringere le maglie e rendere ancora più governativo l’indirizzo di reti e telegiornali. Insomma, la Berlinguer avrebbe mostrato qualche asprezza, si sarebbe impuntata a volte, non si sarebbe sempre unita al coro. Dunque, via Bianca (Berlinguer) e dentro Tonino (Di Bella) che è un navigatore di lungo corso. É questa la versione del Fatto. A me sembra che le nomine siano la pagliuzza e che la montagna sia invece il disinteresse del governo per una televisione pubblica: Renzi non ha preteso un piano industriale di risanamento e rilancio, ha scelto i capi e poi non li ha mai difesi, sceglierà nuovi direttori e li terrà sulla corda, pretende ossequio ma come prodotto derivato dell’incertezza e del disprezzo. La grande operazione con i media e sui media Renzi la vuole con i privati. Si capiva benissimo già dal testo della cosiddetta riforma (e dal modo con cui fu imposta). Il problema è che con i privati è più difficile, come mostra la rottura tra Bollorè e Berlusconi, mentre Murdoch è uno squalo globale e aspetta le elezioni in America.

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