“19 ministri e 25 banchieri indecisi tra rottura e negoziato”. Repubblica coglie il cuore del problema: 19 ministri e 25 banchieri che bisbigliano e non hanno avuto il coraggio di ammettere “che il debito greco è solo carta”, come scrive sul Sole24Ore Roberto Napoletano. Un tabù idiota -quello secondo cui si possono ristrutturare i debiti di una grande banca ma mai quelli di uno stato e di un popolo- ci sta portando sull’orlo del precipizio. Purtroppo i tabù muovono il mondo. Così Lucrezia Rechlin (Corriere della Sera) si augura che vincano i sì, perchè teme l’irritazione di quei 19 ministri e 25 banchieri, ma poi chiede loro di smetterla con i tabù, di “cambiare programma” e offrire “alla Grecia un nuovo inizio”. Capisco, ma non condivido. Credo che sarebbe molto meglio se stasera i pronipoti di Pericle votassero no. Qualcuno deve pur ridimensionare l’alterigia autoreferenziale  di quei 19 ministri e di quei 25 banchieri.

Siamo qui per fare un partito. Stefano Fassina l’ha detto senza girarci intorno. “Svolta liberista, deriva plebiscitaria, pessima riforma (con voto di fiducia) della scuola”, Renzi tuttavia non è un “usurpatore” ma l’interprete “più abile ed estremo” della subalternità culturale e politica della sinistra italiana. Una subalternità che dura da tre decenni ed è diventata insostenibile almeno dal 2008. Per battere Renzi – ha detto dunque Fassina a Civati, Cofferati che erano sul palco, e a SEL, Rifondazione e l’altra Europa- occorre spezzare quella subalternità, liberare forze che un tempo si consideravano di sinistra e oggi sono prigioniere della Sindrome di Stoccolma, e fanno cose di destra immaginando così di poter “vincere”. D’altra parte sarebbe sbagliato  vendere “un prodotto preconfezionato”. Non è tempo di alzare una bandierina,  brandire un leader più educato e colto di Renzi, per chiudere la partita e dire: ecco il partito. Al contrario occorre  parlare alla Coalizione Sociale di Landini, al movimento del 5 maggio, contro la riforma della scuola, ai giovani che vorrebbero una politica che non si riduca al mestiere della politica.

Quei 25 vogliono rifondare il Pd come partito di sinistra. Nel suo sermone della domenica Eugenio Scalfari legge il documento firmato da 25 senatori del Pd non soltanto come piattaforma per cambiare la riforma costituzionale, eleggendo con voto diretto i senatori e consegnando più poteri al Senato, ma come qualcosa di più, un vero e proprio manifesto, forse l’ultimo appello per salvare il partito democratico dal destino che Renzi gli sta costruendo. Quello cioè di diventare una macchina che sostenga il premier e segretario, gli costruisca intorno una rete di notabili regionali, occupi il centro dello schieramento, faccia propri senza troppe storie i tabù del capitalismo, e sappia convincere la sinistra  farsi destra per poter contare in Europa. Le due linee, quella di Fassina e quella dei 25, sono ovviamente diverse e concorrenti, anche se possono trovare qualche momento di convergenza nelle prossime battaglie parlamentari  Su questo prometto di tornare con un post dedicato, in cui proverò pure a tirare le somme delle battaglie che ho condotto e delle sconfitte subite.

Noi ti sfiduciamo, ma tu non ti muovere. La direzione del Pd Siciliano è riuscita ad aprire la crisi (virtuale) del governo Crocetta ma “escludemdo le elezioni subito” (Giornale di Sicilia). Crocetta non va bene e deve andar via ma intanto resti a Palazzo d’Orleans! Questa storia è vecchia e penosa. Eletto con il 30% del 47% dei votanti, Crocetta aveva pensato di poter fare tutto quel che gli andasse di fare. Nomine (di assessori) a catinelle, dimissioni altrettanto torrenziali. Continui annnunci sulla rivoluzione antinafia da realizzarsi riciclando vecchi ruderi della politica siciliana e contando sull’appoggio della Confindustra e di Montante, alla fine pure lui indagato per Mafia. Sulfureo, debordante, troppo intento a rinnovellare la sua fama perchè gli restasse anche il tempo di governare., Crocetta non è mai stato amato dal Pd. Ne è derivata una stucchevole congiura di palazzo e a mezzo stampa. Insulti, rodomontate, finte tregue, nuovi insulti Ma di sfidarlo su un programma per la Sicilia – come avevo chiesto che si facesse- o costringerlo in Consiglio alle dimissioni correndo il rischio delle elezioni, manco a parlarne. Così il trio Faraone, Raciti, Crocetta condanna la Sicilia a galleggiare su polemiche e insulti made in Pd.

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