Rottura, crisi, l’Italia alza il tito con l’Egitto. É questo il titolo dei titoli. “Dopo l’ennesima presa in giro – scrive Toscano per Repubblica – il ministro Gentiloni, ritirando l’ambasciatore, segnala che l’Italia non ha alcuna intenzione di essere «comprensiva». É già qualcosa e il ministro degli esteri, Gentiloni, sta facendo la sua parte. Tuttavia il caso Regeni è diventato un caso egiziano – penso che a Giulio avrebbe fatto piacere – e molte famiglie, nel nome del ricercatore italiano, ora denunciamo torture, vessazioni, sparizioni e assassinii del regime. Regime di cui al Sisi è solo il volto, perché siamo in presenza – scrive ancora Toscano – di “un dittatore collettivo”, le forze armate, che spalleggiavano Mubarak e che si sono riprese il potere dopo la primavera araba e il fallimento dei fratelli musulmani al governo. Non è facile. Eni farà pressioni, Renzi cercherà di riannodare con al Sisi. Dovremmo capire che in Medio Oriente un regime dispotico e repressivo non è mai la soluzione e spesso diventa il problema.

L’ira di Renzi sui PM di Potenza: ora stretta sulle intercettazioni. Repubblica racconta così l’ultima riunione del consiglio dei ministri. Il premier ha capito che il caso Guidi chiama in causa il suo stesso modo di governare e la filosofia delle riforme. Perciò, come Berlusconi, invoca il bavaglio. Mi dispiace perfino poterlo dire, ma fin dall’inizio di queste disgraziate riforme avevo avvertito che eleggendo solo il premier si sarebbe finito per dare più forza alle pressioni indebite, alle intermediazioni criminali, al conflitto fra cordate. Bonaparte – spiegavo – aveva ereditato dalla Rivoluzione il suo esercito di soldati e di funzionari, Renzi ha intorno solo i Guidi e i Carrai, Gemelli e Lotti, Serra e Montante. “L’uomo solo al comando della nave – scrive ora Antonio Polito per il Corriere – si è dimostrato incapace di eliminare il caotico affollarsi degli interessi giù nella sala macchine, dove ministri, sottosegretari e capi di gabinetto restano esposti e finiscono per combattersi, rubarsi competenze, costruire cordate” e “la riduzione del Parlamento a votificio non semplifica le cose”. Certo prima c’era “l’assalto alla diligenza” (da non rimpiangere) ma “il Parlamento è anche un filtro degli interessi. Sempre meglio farli passare allo scrutinio di una commissione, che trovarseli riversati sul tavolo di un ministero, dove si decide certamente con maggiore opacità e discrezionalità, e dove il potere di un funzionario vale più dell’opinione di un deputato eletto dal popolo”. Le riforme sono finite…dove sapete.

Scacco alla Rai, il Cavaliere Bianco. Lo scacco deriva dalla concentrazione delle televisioni europee: Mediaset fa l’accordo con Vivendi, Sky unifica le sue piattaforme europee. Come previsto. Se aveste avuto la pazienza di leggere gli interventi che ho svolto in Senato sulla riforma della Rai, sapreste che ne ho sempre parlato come di una non riforma, un cavallo di Troia che permettesse a Renzi di sedersi, come mediatore e garante, al tavolo che conta, quello del nuovo duopolio in formazione – sky mediaset (insidiato, per certi versi, da Netflix). Così è. Il cavaliere bianco sarebbe Cairo, patron del Torino calcio ed editore de la7. Dopo che gli Agnelli hanno prima gonfiato di debiti (guidandola in operazioni internazionali spericolate) la RCS, poi sono andati via per mettere in salvo il malloppo, la società del Corriere è scalabile. Cairo propone uno scambio tra azioni La 7 e azioni RCS: vuole contare di più. Della Valle, che parla a lungo ma ha “il braccino corto”, forse preso in contropiede.

Il Papa ha chiamato a Roma per il 15 aprile Bernie Sanders. Immagino la smorfia di disgusto dei clintoniani, immagino che Trump non mancherà di parlare di un Papa marxista. Invece non lo è marxista, è un gesuita che prova a salvare la chiesa cattolica, la quale era accerchiata – dalle altre fedi e dagli scandali – e ormai ridotta in una catacomba, a cielo aperto e carica d’oro ma per questo ancora più lontana dal mondo. Bergoglio capisce che se fa suo il disprezzo di chi sta in alto per i bassi fondi, la chiesa è destinata a perire. Perciò ha scelto quel nome, Francesco. Il Papa capisce che il rifiuto del sesso, la riduzione della donna a compagna e madre, il rigetto dei risposati, la condanna degli omosessuali, capisce che tutto questo giudicare, evoca un giudizio senza appello sulle colpe storiche e presenti della chiesa. Perciò predica la misericordia. E chiede ai vescovi di lenire le ferite, non affondare il bastone nelle piaghe. Tutto qui. É poco? No. Sulla Stampa Yehoshua trascrive quel che gli ha detto un benzinaio arabo israeliano: “Ha ragione, dovremmo condannare queste barbarie (del terrorismo), ma non possediamo una sufficiente libertà interiore per sentirci di condannare i nostri correligionari”. “Quel tipo di libertà interiore – chiosa lo scrittore – è generata anche da un senso di sicurezza morale che consente di distinguere chiaramente tra il bene e il male, senza confonderne i confini. L’Europa dovrebbe quindi fare uno sforzo educativo e filosofico per infondere questo sentimento nelle comunità musulmane”. Non conflitto di civiltà, ma sforzo educativo e filosofico. Uno sforzo che ha bisogno di gesti, come la prossima visita di Bergoglio tra i profughi che arrivano a Lesbo, come il breve incontro a Roma con Sanders.

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