Il killer in fuga ucciso a Milano. A tutta pagina, sul Corriere. La sera della strage al mercatino di Natale Anis Amri, bullo violento di 24 anni, per 4 detenuto nelle carceri italiane e poi “reclutato” dell’Isis, aveva camminato 40 minuti nel centro di Berlino fino al centro islamico del quartiere Moabit, di fronte a un posto di polizia. Lì aveva dormito (pare) presentandosi come marocchino e musulmano ma nemico dell’Isis. Il giorno dopo, sempre a Belrino, si era fatto il selfie per rivendicare l’attentato e “postarlo” in rete. Poi ha lasciato la capitale tedesca, è passato in Svizzera e da lì in Francia. A Chambery ha comprato un biglietto del TGV per Milano. Ma forse è sceso a Torino perché nella capitale della Padania è arrivato con un treno regionale. Fino a una piazza da cui partono pullman diretti a sud, poi lo hanno fermato due agenti, Cristian Movio e Luca Scatà (sulla diffusione dei loro nomi da parte del Viminale infuria la polemica). Anis si ferma, dice di essere calabrese, vuota lo zaino, fingendo di cercare i documenti che non ha, poi estrae la pistola, grida in italiano “polizia bastardi”, spara e ferisce Movio. Sparano anche Cristian e Scatà e lo uccidono. Angela Merlel dice: “Grazie Italia”. Il Giornale titola: “Una bestia in meno”. Grillo interviene: “L’Italia è un colabrodo. Bisogna agire”. Agire come, Beppe? “Chi ha diritto di asilo resti in Italia, tutti gli irregolari siano rimpatriati subito”. È quel che dice da tempo Alfano, ma non riesce a farlo.

Pierrot le fou. Quando ero ragazzo, e si viveva un’altra sconvolgente trasformazione, il bandito solitario era di moda. Godard girò À bout de souffle nel 1960 e Pierrot le fou nel 65. Oggi è diverso, perché pulsioni (assai simili a quelle di allora) oggi incontrano una anti mondializzazione che in nome del medio evo islamico che dà loro uno statuto ideologico, li recluta e li trasforma in un pericolo mortale. Bisogna reagire. Giusto. Primo, individuando il nemico principale: il sedicente stato islamico, Daesh, erede delle rete, Al-Qaeda. Secondo, colpendo chi diffonde l’ideologia, wahabita e salafita, che è il brodo di coltura del terroristi, l’Arabia Saudita. Terzo, facendo i conti con l’immigrazione islamica, che è l’acqua in cui nuotano gli assassini all’ingrosso, Quarto, adottando oculate e adeguate misure di polizia.

Populisti e demagoghi si concentrano solo sul terzo e quarto punto, dicendo spesso cose cose che non si riesce a fare. È possibile fermare la migrazione? No, è una sciocchezza: più muri faremo, più passeranno. Come sempre è successo. Servirebbe invece una politica per i migranti: intanto non lasciar marcire da irregolari i tanti che potrebbero essere una risorsa per il nostro paese (perché sono giovani, perché sanno lavorare, perché spesso brillanti e dunque potenziali “cervelli”). Poi convincere i paesi d’origine (con accordi, do ut des) a riprendersi quelli che non possiamo o non vogliamo accettare. Infine tenendo in carcere, o sotto rigido controllo di polizia, quelli come Amri che hanno mostrato una propensione a delinquere (fino a quando non si riesce a rimandarli nelle prigioni d’origine). Tutto ciò costa, è difficile perché sui migranti lucrano corruzione e mafie nostrane, obbliga a cambiar politica su lavoro e welfare. Perché è ovvio che l’investimento sull’immigrazione non può venir pagato dalla non inclusione e non promozione dei nostri cittadini, in particolare dei giovani.

Dal mondo. Un aereo è stato dirottato dalla Libia a Malta. I sequestratori, che Financial Times definisce “pro Gheddafi, avevano solo armi giocattolo. Il trionfo di Putin: nella conferenza stampa di fine anno, ha promesso di pacificare Siria e Iraq grazie all’intesa con Iran e Turchia, ha rinnovato la sua offerta di amicizia a Trump e giurato che la Russia non sarà un pericolo per la pace. Ma una minaccia per l’Europa, sì. È la tesi del New York Times che dedica l’articolo di apertura al ritorno a Mosca del mito di Stalin (presentato come salvatore della patria in guerra e non come responsabile della repressione e dei gulag), mentre “la spalla” racconta dei finanziamenti e del sostegno russi a gruppi di estrema destra anti europea, dall’Ungheria fino alla Francia. Aleppo respira. Le truppe di Assad hanno massacrato medici, vecchi e bambini, ma alla fine, hanno liberato la città dai “ribelli”, cioè da milizie jihadiste simili in tutto agli uomini in nero del Daesh. Israele perde un colpo: il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha infatti stabilito che “le colonie israeliane non hanno validità legale”. Mozione egiziana, poi ritirata dal Al-Sisi per intercessione di Trump, il cui intervento era stato sollecitato da Netanyahu. Ma Malesia, Senegal, Nuova Zelanda e Venezuela l’hanno ripresentata e gli Stati Uniti, per la prima volta, non hanno opposto il veto, astenendosi. Canto del cigno di Obama? Può darsi. Trump manderà in Israele un ambasciatore, David Friedman, che considera “peggio di kapò gli israeliani che sostengono la politica dei due stati” e sposterà l’ambasciata americana a Gerusalemme, capitale dello stato ebraico mai riconosciuta dall’ONU. La Palestina solo agli ebrei e che gli arabi si arrangino, la Siria ad Assad che si vendicherà sui sunniti, la Turchia a Erdogan e guai ai Curdi, Yemem e Libano agli sciiti (?). E su tali fortezze l’occhio vigile di Putin. Finirà così?

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