Ha attraversato da solo la Cour Napoléon du Louvre, accompagnato dalle note dell’Inno alla Gioia, simbolo d’Europa. Poi, sempre da solo sul palco, ha parlato con dietro la piramide di vetro voluta da Mitterrand e accettata Chirac, al tempo sindaco di Parigi. Ha ringraziato chi lo ha votato senza condividerne il programma, solo per sbarrare la strada alla Le Pen. Poi si è rivolto anche al popolo della Le Pen dicendo “sarò il vostro presidente, perché non abbiate più motivo di votare per le estreme”.

Tutto troppo perfetto in questo suo esordio da presidente di Emmanuel Macron. Tutto studiato nei dettagli e recitato a puntino. Con una grande voglia di piacere a tutti e una ferrea volontà di essere “à la hauteur” della storia di Francia. Prima del discorso del Louvre, Macron aveva parlato dal suo quartier generale. Anche lì solo davanti a una telecamera. Discorso solenne, rivolto alla nazione, da vero monarca repubblicano.

Vedendolo e ascoltandolo ho pensato: forse sa che potrebbe non avere una maggioranza né sua né sufficientemente coesa dopo i due turni, l’11 e il 18 giugno, per eleggere l’Assemblée Nationale. E si prepara a un nuovo, inedito, ruolo del Presidente. A una sua più marcata solitudine. Certo Macron spera che che così non sia, che il suo movimento, En Marche, faccia il botto e riesca a imporsi nel maggior numero di collegi. Ma se l’effetto di trascinamento non dovesse bastare, si prepara a presiedere il paese pure con governi stabili e un quadro politico molto mosso. Un presidente legittimato dalla vittoria contro la Le Pen e dall’Inno alla Gioia.

Marine Le Pen ha parlato subito dopo le 20. Al primo turno abbiamo distrutto i partiti tradizionali, ha detto. In questo secondo ho conquistato 11 milioni di voti e da ora in poi in Francia ci saranno solo due campi, quello degli altri, i “mondialisti” e quello nostro, cioè dei “veri patrioti”. Ha suggerito che il Front Nationale cambierà nome e ha chiesto ai suoi elettori di eleggere quanti più candidati della destra a giugno, per diventare almeno il secondo partito di Francia e porre così le basi per una futura vittoria.

Mélenchon. Tanto mi era sembrato teso, deluso, persino demotivato, dopo il primo turno, tanto mi è parso determinato ora. Ha chiesto ai 7 milioni che hanno scelto al primo turno la France Insoumise di restare uniti, sia che oggi abbiano votato Macron o che si siano astenuti o che abbiano scelto di mettere nell’urna una scheda bianca o nulla. Si è preso una parte del merito della sconfitta dei fascisti: “solo terzi, dopo Macron e l’astensione”. Ha ribadito che l’agenda del nuovo “monarca repubblicano” non è condivisibile, “aggressione alle conquiste sociali, scarso interesse per le sorti del pianeta”. E ha sostenuto che potrebbero esserci persino le condizioni per una maggioranza di sinistra, dopo il 18 giugno.

Vengo, infine, alle percentuali dei voti e a quello che possono dirci. Il 25,2% (un francese su 4) non è andato a votare. L’8,8% degli aventi diritto ha messo nell’urna una scheda bianca o nulla. Del restante 66%, due terzi (il 44% del totale dei francesi) hanno scelto, per adesione o per necessità, di votare Macron. Il restante 22% si è schierato con Marine Le Pen. Una Francia divisa, tormentata dal fallimento di Hollande e prima di lui Sarkozy. Traumatizzata dal terrorismo, spaventata dall’avanzata dell’estrema destra, e tuttavia una Francia che tiene dritta la barra, che partecipa e non si tira indietro.

Ogni trionfalismo sarebbe da sciocchi. Nessun problema è risolto. Si può tuttavia apprezzare il rifiuto di confondersi con la destra nazionalista e protezionista che per forza deve esserci stato anche da parte di chi ha vissuto sulla pelle le conseguenze delle politiche liberiste degli ultimi 10 anni. Si deve riconoscere che i partiti tradizionali, repubblicani e socialisti, sono così screditati da consentire a un “uomo nuovo” (ancorché sia stato consigliere e ministro di Hollande), alla testa di un movimento fondato appena da un anno, di rubar loro la scena e tantissimi voti. E si può supporre che, nonostante i suoi errori o anche con i suoi errori, l’Europa sia diventata parte dell’identità francese. Come se in molti pensino che non possa esserci grandeur per la Francia se non in Europa.

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