Intermezzo elettorale. Uno stadio pieno, l’oratore che parla, quando un passerotto si posa sul podio, vicino alle sue mani, sotto i suoi occhi, accanto alla scritta A future to believe in. Bernie Sanders, si ferma e sorride. Ieri nonno Sanders, il socialista confesso, l’uomo che non vincerà mai le primarie democratiche perché “l’apparato non è con lui”, perché “le elezioni si vincono al centro”, perché al “primo super tuesday” sarà spazzato via, se non al primo al secondo, ha vinto di nuovo, e con ampio margine, in Alaska e nello stato di Washington. A questo punto della corsa, Sanders ha prevalso in 13 stati e Clinton in 18, ha conquistato quasi mille delegati, contro i poco più di 1300 dell’avversaria. Inoltre può continuare la campagna grazie a un numero davvero grande di piccole donazioni e al sostegno entusiasta di decine di migliaia di ventenni. Sì lo so, i super delegati – senatori, deputati, ex presidenti, che non passano il vaglio delle primarie e che sono oltre 500 – voteranno quasi tutti per Hilary. Le borghesie ispaniche e afroamericane hanno scelto di sostenere la candidata che rappresenta la continuità con l’amministrazione Obama – di cui fu segretario di stato – e con quella del marito, l’ancora popolare Bill Clinton. E vedo che i giornali – un’istituzione come il New York Times – hanno fatto la loro scelta. Però questa campagna di Bernie dovrebbe aprire gli occhi foderati di prosciutto, sturare le orecchie dai grumi di sebo: un’altra sinistra è necessaria.

La terza via è finita, e con essa l’idea di un neo liberismo più digeribile grazie a una verniciatura di sinistra. Tanta parte della middle class si è accorta ormai che la crescita, inarrestabile, delle disuguaglianze la sta precipitando in una condizione proletaria. E teme che l’immigrazione porti a una svalutazione ulteriore del suo tenore di vita e delle sue aspettative di lavoro e successo. Vogliamo lasciarla ai populisti, al rancore delle destre, questa classe media? Proponendogli vecchie idee e candidati d’apparato, polli di batteria della sempiterno autonomia della politica? Ancora oggi negli USA attori e finanzieri di colore, palazzinari e commercianti ispanici sono la punta di diamante della penetrazione nel sistema delle cosiddette minoranze. Ma domani? Ispanici senza lavoro, ragazzi neri contro cui la polizia prima spara e poi gli chiede i documenti, proseguiranno ad accettare le loro borghesie o le metteranno all’indice? Si vede già una sinistra senza popolo. Il nostro piccolo mondo di baby boomers, di miracolati della lunga pace (pare relativa e solo in Occidente) 1945-2015, balla un ultimo tango sulla tolda del Titanic. E l’orchestra di sociologi, politologi, sondaggisti e giornalisti suona le note più dolci, mentre l’acqua dell’oceano già invade i locali delle caldaie. Spero che Bernie Sander sappia costruire, con i giovani millennials, un forte e popolare movimento politico, che cominci a cambiare dalle fondamenta gli Stati Uniti.

Il killer con il cappello era un reporter. É quanto ci dicono oggi i giornali: insomma una persona nota, che lavorava con i suoi documenti, tracciabile da qualsivoglia polizia. Ci dicono pure che un altro terrorista – lo abbiamo visto ferito vicino alla pensilina di un tram – era stato arrestato, molti anni fa, perché coinvolto nell’assassinio di Massud, il leone del Panjshir. Mi ricordo di Massud: venne a Parigi nel 2001. Spiegò che i talebani si stavano prendendo l’Afganistan e che non per questo aveva combattuto contro l’invasione sovietica. Che i Taleban, Pashtun, contavano sull’appoggio dei Pashtun del Pakistan, dell’esercito e dei servizi segreti, legatissimi a quelli americani. Che le brigate internazionali pashtun messe su contro i russi – ma anche contro Massud – da Arabia Saudita e Cia, pullulavano di fanatici e terroristi, e fra loro bin Laden. Massud chiedeva aiuto: nessuno dei responsabili della Rai volle neppure sentire di una sua intervista. Pochi mesi dopo, il 9 settembre 2001, due giorni prima del nine eleven, Ahmad Shāh Massoūd fu ammazzato da kamikaze giornalisti tunisini e da un telecamera bomba. E cadde il mondo. Ricorso Bush quando, circondato da bambini e maestre, gli diedero la notizia delle twin towers. Lo rammento trascinato via dagli uomini della sicurezza dopo che un aereo bomba aveva violato persino il Pentagono. Sapete cosa faceva l’11 settembre Condoliza Rice, segretario di stato? Ascoltava una relazione sui missili anti missile da piazzare ai confini con la Russia. Sapete cosa fecero subito dopo gli agenti della Cia? Ce lo ha raccontato Michael Moore: si diedero da fare per far partire in sicurezza tutti i componenti della famiglia Bin Laden, ricchi sauditi in affari con ricchi e potenti americani. Comunque la pensiate, il nemico è rimasto sempre tra noi. Per 15 lunghi anni.

Cosa avrebbe detto Giulio Regeni del concerto di Mick Jagger a L’Avana? Forse che il mondo sta cambiando. É vero, sta cambiando. E le menzogne sulla sua morte diffuse dall’Egitto, dopo che il presidente-dittatore dell’Egitto era venuto a dirci che avremmo avuto la verità, tutta la verità, quelle menzogne suonano oggi come un insulto. Intollerabile anche perché, ormai, anacronistico. Questi dittatori e questi regimi che chiamiamo alleati sono ormai di cartapesta. É volato via il tempo in cui l’America insediava nel sangue il dittatore Suharto: restò a Giacarta dal 1967 al 1998, oltre trent’anni. E Reza Palhavi, lo scià di Persia, regnò quasi per quarant’anni, con in mezzo un colpo di stato contro un primo ministro, Mossadeq, votato all’unanimità dal parlamento ma sgradito alle potenze imperiali. Al Sisi l’egiziano, Erdogan l’islamico turco, Salman d’Arabia, mi sembrano tigri di carta: forse un indovino gli leggerebbe nella mano una linea del successo più breve che quella di Raúl Castro.

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