Ora Renzi ha scelto. Un suo avatar a Palazzo Chigi, Lotti sempre sottosegretario per gestire nomine di boiardi e rapporti con lobby e corporation, congresso del Pd al più presto, nuove elezioni e la scommessa di poter tornare sul proscenio, di nuovo premier in estate, in tempo per fare gli onori di casa al G8 che l’estate prossima si terrà in Italia. Non aveva inteso il voto referendario, Matteo Renzi, ma ieri ha ben compreso il segnale inviato dalla BCE di Draghi: no ai 20 giorni di tempo per ricapitalizzare Monte dei Paschi di Siena. Basta capricci, si torna al lavoro. Per condizionare il futuro governo e preparare la rivincita. Ieri il Presidente del Consiglio dimissionario ha ricevuto a Palazzo Chigi l’uomo che sembra avere più possibilità di succedergli, Paolo Gentiloni. “A Mattarella – scrive Massimo Franco – Renzi mostra di tenere «consultazioni parallele» per dire che ha in mano le chiavi della crisi e della maggioranza in Parlamento”. “Colpisce la singolare procedura inaugurata da Renzi – scrive Stefano Folli – una specie di consultazione parallela a quella che si svolgeva nelle stesse ore al Quirinale. In altri tempi si sarebbe parlato di sgarbo al Capo dello Stato. In ogni caso il risultato è quello di porre Mattarella di fronte a una specie di fatto compiuto”. “Lotti – scrive invece Francesco Verderami – è stato l’uomo del «me la vedo io», «aggiusto io», e soprattutto del «con Matteo ci parlo io». In un sistema di check and balance si è occupato dei servizi nonostante quel ruolo sia di Minniti, si è interessato di infrastrutture nonostante lì ci sia Delrio, ha disbrigato nel partito nonostante lì ci sia Guerini, e si è occupato di banche perché ritiene che lì non ci sia nessuno. Se resterà a Palazzo Chigi senza Renzi, è perché di Renzi rappresenta l’essenza”.

Non tutte le ciambelle vengono col buco. Ricevuto l’incarico (se andrà così) l’avatar Gentiloni, Padoan, confermato Ministro dell’economia, e il sottosegretario factotum, Luca Lotti dovranno salvare con denaro pubblico il Monte dei Paschi, poi Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Il fatto che si intenda farlo insieme a investitori privati, peggiorerà le cose perché il conto lo pagheremo noi, le banche le gestiranno loro. Padoan dovrà rispondere alle osservazioni dell’Europa sulla legge di stabilità appena approvata e provvedere (tagli e tasse?) a mettere i conti in sicurezza. Lotti gestire nomine, servizi segreti, editoria, gli affari, insomma. E dovrà assicurare la maggioranza necessaria (con Verdini o con Berlusconi?) per cambiare la legge elettorale in modo che resti l’investitura popolare del leader della provvidenza, cioè del redivivo Renzi Matteo. Intanto a marzo il Pd si dovrà suicidare confermando alla guida il segretario 3 volte sconfitto. Per tutto questo tempo Gentiloni non dovrà affezionarsi né alla poltrona né ai suoi metodi di far politica, che sono assai più civili di quelli che conosciamo da 3 anni. Mattarella dovrà rientrare, silente e impalato, nei panni della sua controfigura che Cozza interpreta. Funzionerà? Non è detto. Paolo Mieli ieri sera consigliava a Renzi di non brigare la segreteria. Come si direbbe nel gioco dell’oca, di restar fermo per due giri, in attesa di un ritorno “storico” come quelli di De Gaulle e Churchill.

Di nuovo centro sinistra ma senza Renzi, scrive Alberto Asor Rosa sul manifesto. La sinistra dismetta “la tentazione dell’autosufficienza e qualche sotterranea (ma qualche volta emergente) simpatia nei confronti dell’avanzata grillina” e punti a “un nuovo radicamento sociale nel paese”. “Il Pd si liberi di Matteo Renzi e torni di nuovo a muoversi in una direzione di centro-sinistra”. Asor Rosa riconosce che un problema c’è: “Ci vorrebbe un Uomo – ammette – però, se le condizioni si danno, ‘un Uomo’ o s’intende ‘Una Donna’ si trovano… Non c’è altra strada”. Su Repubblica Tomaso Montanari obietta a Pisapia che non c’è niente di sinistra in quello che il Pd ha fatto in questi anni: “jobs act, bonus e una tantum, ‘pugni sui tavoli in Europa’ ma accettando Maastricht, sblocca Italia, Buona Scuola, smantellare la tutela pubblica del patrimonio storico e artistico”. “Mentre destra e sinistra – sostiene Montanari – concordano nel ritenere l’economia di mercato senza alternative, la sinistra non crede che dobbiamo essere anche una società di mercato. La prima ripete Tina (there is no alternative), la seconda lavora a un’alternativa praticabile allo stato delle cose. Se il Partito democratico ha fatto di Tina il proprio motto, non è certo colpa di Matteo Renzi: ma questi è stato il più brillante portavoce di questa mutazione”. Montanari non crede che il Pd possa ricredersi e tornare indietro. Perciò sostiene che “la vera sfida è costruire una forza che ambisca a diminuire la diseguaglianza, e non la democrazia”. Una forza di sinistra.

There is no alternative? Per quel poco che importa, io penso che entrambe le sinistre, sia quella di governo che l’altra d’opposizione, siano state investite nel corso dell’ultimo quarto di secolo da una sorta di mutazione genetica. La cui cifra è stata la rinuncia a un progetto. Clinton, Blair, Schröder, Hollande, Renzi hanno creduto che non esistesse altra strada se non gestire il progetto della mondializzazione capitalista, caratterizzato dalla finanziarizzazione dell’economia occidentale, con la crescita conseguente delle disuguaglianze, ma anche con l’affermarsi di taluni diritti e di una vita più civile nelle città. La sinistra d’opposizione ha invece voluto credere che, nelle pieghe di quella mondializzazione disuguale, e per la spinta dei movimenti di lotta che essa mondializzazione induceva, potesse nascere un uomo nuovo, carico di virtù e portatore di diritti. Dire quel che sei è apparso più importante di spiegare cosa tu proponga. Come pesci paguro entrambe le sinistre si sono nutrite degli scarti della mondializzazione. La fine dell’egemonia americana, della lunga pace in occidente, del nesso tra libera circolazione delle merci e crescita dei diritti, insomma la crisi sta mettendo alla frusta entrambe sinistre, spingendole a cercare “l’Uomo”, decisore o federatore che sia. A me sembra invece urgente un confronto di massa su quale pace, che genere di consumi, quali produzioni e che industria noi vogliamo. La storia non si fa da sé: serve un soggetto che non può nascere se non nel fuoco di un confronto di massa, politico e ideologico, storico e culturale. Questo è il sogno, che la rete e una cultura diffusa possono trasformare in progetto.

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