C’è un Renzi che diffida di Renzi e si ribella ai consigli del guru italo americano, Messina, che ha assoldato per correggere la sua comunicazione. Non mi credete? Ecco il titolo del Corriere: “L’Europa non finisce con la Brexit”, frase del premier. Peccato che il messaggio coerente con le ambizioni del vertice di Ventotene avrebbe dovuto suonare piuttosto così: “Il mondo ha bisogno di una Europa libera e unita”. Ottimista e proiettato verso il futuro, evocativo del lavoro fatto in un buio passato da Spinelli, da Rossi e Colorni. Invece la lingua di Matteo batte dove il dente duole. Così gli scappa quella negazione, “l’Europa non finisce”, che quasi afferma. E il riferimento al voto popolare (in Gran Bretagna) che ha messo in difficoltà i governi d’Europa. Certo, quella voce ha dato una mano al Corriere per fare un titolo che non dispiacesse al premier, ha permesso alla Stampa di cavarsela con un generico “messaggio all’Europa” inviato da Ventotene. Più fattuale. International New York Times titola: “i leader dell’Unione cercano una strada dopo Brexit”. “Tre leader in difficoltà esorcizzano Brexit”, commenta il manifesto. Mentre Adriana Cerretelli del Sole nota che “l’anfitrione (Renzi) è inciampato sulle priorità dell’agenda nazionale” ma “Angela Merkel non si è dimostrata condiscendente”. E Repubblica da un lato tonifica la frase di Renzi togliendo quella fastidiosa negazione e restituendole l’entusiasmo “Ecco la UE del dopo Brexit”. Dall’altro gela il tutto con la frase della Merkel: “la flessibilità c’è già”.

“Quello che non riesco a capire è il dibattito sulle tasse”. (sempre Renzi, Enews di ieri, la numero 438). Aiutiamolo a capire. “Basta il numero – scrive Daniele Manca sul Corriere – oltre 100 scadenze fiscali concentrate nella giornata di ieri. Per un importo attorno ai 23 miliardi”. E vuoi che la gente non dibatta sulle tasse? Ma Renzi invoca i fatti del suo governo: “L’ultima volta che lo Stato ha aumentato una tassa – scrive – è stato nell’ottobre del 3013”. Però nel 2014 e nel 2015 “lo Stato” ha continuato a tagliare i trasferimenti a comuni e regioni, che hanno dovuto aumentare le loro imposte. Chi le paga quelle, Pantalone? Ma il premier si vanta “numeri alla mano”: “80 euro” per il “ceto medio”, “taglio dell’Irap, del costo del lavoro, azzeramento dell’Imu sugli imbullonati” per gli imprenditori, via “la Tasi sulla prima casa” per le famiglie. Bene! Peccato che tali misure non abbiano gonfiato la ripresa (i numeri di quella italiana sono i più bassi di tutta l’area dell’euro) né arginato la deflazione. È quello che ha cercato di fargli notare perfino Speranza, della “minoranza” Pd. Se quei “tagli” non funzionano, allora diventano solo mance e le mance sottraggono risorse che potrebbero essere meglio utilizzate. Semplice, ma lui non capisce. O non vuole capire.

Il riformismo punitivo. C’era una cosa che tutto sommato funzionava in Italia, ed era la scuola. Funzionava? Beh insomma, diciamo che se la cavava, tutto sommato riuscita ad arrangiarsi. E, alla fine, la maturità non metteva i nostri studenti in una condizione di minorità rispetto a quelli francesi e tedeschi. Poi sono arrivati la Gelmini, il Faraone, la Puglisi, renzini minori. E alla scuola è stata imposta, esautorando le commissioni parlamentari e imponendo la fiducia in aula, una riforma che sembra immaginata per punire gli insegnanti. Per metterli sotto il maglio di un dirigente-funzionario, per eliminare le graduatorie ad esaurimento ma non i precari, concedere piccoli premi ai docenti in cambio di obbedienza. E sottoporli a un nuovo concorso, anzi a un “concorsone”, gli asini! Scrive Gian Antonio Stella “tra i 71.448 candidati già esaminati agli «scritti» di 510 «procedure», solo 32.036 sono stati ammessi agli orali. Il 55,2%, infatti, non è stato ritenuto all’altezza. Più bocciati al Nord, meno al Sud. Se andrà così anche nelle graduatorie in arrivo fuori tempo massimo (315 per un totale di 93.083 candidati, in larghissima parte per l’infanzia e la primaria) è probabile un buco di circa 23 mila posti vacanti. Uno su tre”. Ma avremo almeno pochi insegnanti ma bravi? Temo di no. Li avremo più demotivati. Persone costrette a lasciare Isernia o Alcamo per insegnare in provincia di Bergamo o di Vicenza. Con la casa e la vita che costano troppo e la famiglia – l’età media degli insegnanti non è bassa – che resta divisa. Professori di una scuola pubblica gestita, nei bei quartieri, come se fosse privata: con le famiglie abbienti che si pagano qualche corso in inglese e sperano di garantire un avvenire ai figli. Professori di una scuola povera indotti a far “progetti” (per pochi studenti a seguirli, ma graditi al dirigente e agli assessori del circondario. Mentre il grosso degli alunni resta in classe con meno ore di lezione, docenti svogliati e voti generosi). È l’autonomia, bellezza!

A Tripoli, bel suol d’amor! Recitava una canzone dell’Italia coloniale. A Tripoli con chi? Il governo di Serraj, quello che dovremmo sostenere, è stato appena “sfiduciato” dal parlamento di Tobruk. Le milizie di Misurata, quelle che hanno vinto la battaglia di Sirte, giurano fedeltà solo ai loro riti tribali e tradizionalisti: non una donna a volto scoperto nella loro città. Intanto la famiglia Regeni denuncia Al Sisi, che vuol chiudere senza verità la partita su Giulio e dice “Renzi è con noi”. Intanto il nostro alleato Erdogan si vuol mettere d’accordo con il nostro (ex) nemico Assad per bombardare i curdi, come già fanno gli assassini del Daesh usando i bambini. Forse Hollande, Merkel e Renzi ne stanno parlando.

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