Grecia spaccata scrive Repubblica. Come potrebbe non essere spaccata? Con il Fondo Monetario che informa “salvare Atene costerà altri 60 miliardi”. Con l’Europa della Cancelliera che promette comprensione ma solo se vinceranno i “sì” al referendum e l’emmerdeurVaroufakis se ne tornerà in America a studiare la teoria dei giochi, con funzionari e pensionati che non sanno fino a quando potranno contare sull’assegno a fine mese. Spaccata, con i sì in leggero vantaggio sui no, dicono i sondaggi. Spaccata, come spesso succede in democrazia. E domenica i greci voteranno anche per noi. E ora? Il Corriere sdoppia la coppia Alesina-Giavazzi: il primo accusa i greci di aver provocato “una caduta di fiducia in Europa tra il Nord («mediterranei pigri e inaffidabili») e il Sud («tedeschi rigidi e cattivi»)”, mentre il secondo assicura che senza tutele né diritti in Grecia tornerà il lavoro, la crescita, e forse pure la felicità. Intanto sappiamo dalla Stampa che ogni italiano è esposto per 600 euro (per via del debito greco) ma che il GrecExit ci costerebbe mille euro a testa.

 

Conseguenze sovversive”. Proprio così: il tribunale di Napoli ha scritto che la sospensione del governatore eletto della Campania, Vincenzo de Luca, decisa dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi in forza di una legge dello stato, avrebbe avuto conseguenzesovversive traducendosi “in una abnorme revoca delle elezioni, o in un’estemporanea rottamazione degli organi della Regione”. Che le leggi che stiamo facendo siano pessime, lo temevo e in fondo lo sapevo da tempo. Sia il Codice di regolamentazione anti mafia, sia la legge Severino sono servite a una politica che non sa combattere mafia e corruzione e perciò si nasconde dietro sentenze e tribunali. Il risultato sono tante sentenze ammazza sentenze. “Una sospensione sospesa”, come dice Michele Ainis: “così ci siamo persi tra leggi ballerine”. Al momento De Luca guadagna punti con Renzi. A destra cresce il coro che chiede la riabilitazione di Berlusconi (può essere che la Severino valga solo per lui?) anche se mister B, avverte il Fatto e Repubblica segue, rischia di essere incastrato dalle olgettine che ha pagato per farle mentire.

 

Non nel nome di Borsellino. La figlia, Lucia, ha lasciato la giunta Crocetta “per prevalenti ragioni etiche e morali”. L’ultima mazzata gliel’avrebbero data gli arresti domiciliari per il chirurgo plastico Tutino, grande amico di Crocetta, che pare addossasse allo stato i costi degli interventi estetitci. Però la domanda che Lucia deve essersi fatta è un altra: l’antimafia serve contro la mafia o serve per la carriera di personaggi talvolta persone compromessi con la mafia?  “Non capisco l’antimafia come cateogoria e sovrastruttura sociale – dice la Borsellino a Repubblica – sembra un modo per cristallizzare la funzione di alcune persone, magari per costruire una carriera”. Già un anno fa avevo avvertito Crocetta che non poteva invocare ogni giorno i suoi meriti di Presidente anti mafia della Sicilia e poi mettersi nelle mani di Montante (ora indagato) e di industriali che vogliono sostituire l’eolico (in Sicilia, affare di mafia) con le discariche (che chissà a chi convengono). Un mese fa ho chiesto alla Bindi di smarcarsi (dal ricatto per l’affaire De Luca) e aprire un’inchiesta sulla mafia nell’antimafia.

 

Onesto ma troppo debole La pietra tombale sulla vicenda Marino l’ha forse messa Ilvo Diamanti con il suo sondaggio che oggi commenta su Repubblica. l’88 per cento dei romani crede che a Roma la mafia sia forte, l’80 che la responsabilità sia di tutte le forze politiche, il 64% ha maturato un giudizio negativo della conduzione del comune, il 52 per cento crede che Marino debba dimettersi. Anche qui, a Roma, non si vedrà la luce senza ripensare la città: quali sono le forze che impediscono il buon governo (comitati d’affari, AMA, vigili, quali?), che poteri e che controlli servono per far funzionare l’area metropolitana, come dare ai cittadini la sensazione che i servizi diventano più efficienti, come sciogliere il sodalizio tra affari e politica?  Una rifondazione dell’Urbe che faccia della questione morale la prima questione politica

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