Primo maggio, non lontano da noi. Erdogan ha vietato le manifestazioni. In migliaia sono andati in piazza Taksim a farsi sparare dai cannoni ad acqua e disperdere dal lancio di lacrimogeni ad altezza d’uomo. Forse un morto, investito da un mezzo della polizia. Scontri pure a Parigi, dove le manifestazioni reclamano il ritiro della loi El Khomri, un jobs act alla francese. Il sociologo della Sorbona, Christophe Aguiton, militante di Sud e di Attac, spiega a Le Monde che mentre i sindacati chiedono il ritiro della legge e l’inizio di nuovi negoziati per cambiare il codice del lavoro, Nuit debout, invece, “è diventato un luogo di aggregazione e di riflessione sull’alternativa da costruire. Muove dalla questione sociale ma anche da quella morale, insorge contro l’ipotesi Valls di togliere la nazionalità a chi non accetti le regole del sistema, fa propria la contestazione ambientale. É un movimento orizzontale, nessuno può parlare a nome di Nuits Debout. Non ha rappresentanti”. “È un movimento analogo – spiega Christophe Aguiton – a quelli che si sono manifestati in vari paesi dopo 2011, primavere arabe, indignati spagnoli, Occupy in Inghilterra e negli Stati Uniti, ma anche in Brasile e Turchia”. “Non si creda che non avrà conseguenze politiche in Francia. Per ora nel mondo ha dato vita a cose diverse: la novità assoluta di Podemos in Spagna, il rafforzamento di un partito radicale come Syriza in Grecia, mentre in Inghilterra e negli Stati Uniti questa nuova ondata giovanile e militante ha investito su partiti tradizionali, permettendo la vittoria di Jeremy Corbyn alle primarie e divenendo la base dei successi di Bernie Sanders”. Nuit debout resta, saldamente, in place de la Repubbliche, magari per suonare l’inno alla gioia di Beethoven.

Primo maggio contro il TTIP. Mentre in Italia la narrazione renziana oscura la questione – ieri ha riunito il CIPE per farci sapere che il governo investirà 2miliardi e mezzo per la ricerca e un miliardo per i beni culturali e che da quando c’è lui “ci sono 398 mila posti di lavoro in più, di cui 354 a tempo indeterminato. E ci sono 373 mila disoccupati in meno” -, El Pais, come la maggior parte dei giornali europei, parla delle pressioni americane (e tedesche) perché l’Europa adotti il trattato per il libero commercio, superando ostacoli che finora erano apparsi insormontabili. Come “il divieto europeo degli esperimenti su animali, o il rifiuto di importare prodotti trattati con pesticidi o carne agli ormoni”. Spiega El Pais, che potentissime lobbies sono all’opera, che Stati Uniti e Germania vogliono coinvolgere nel processo decisionale in Europa le industrie e le multinazionali, per superare le riverse, considerate retrive, degli Stati, sminare le preoccupazioni ambientali, configgere i movimenti in difesa dei consumatori”. Perché in Italia non se ne parla quasi? Direi che il premier-segretario è riuscito finora ad oscurare i termini di ogni possibile scelta nel merito, da quelle costituzionali a quelle che investono i modelli di produzione e consumo. Al centro del confronto solo il come: riforme o immobilismo, controlli che paralizzano o misure per sbloccare l’Italia? Riforme per cosa, sbloccare verso dove? Questo non è dato sapere.

Sempre in Spagna, Podemos cerca di presentarsi alle elezioni anticipate del 26 giugno insieme a Izquierda Unida. Nel qual caso, diventerebbe il secondo partito, dopo i popolari di Aznar e sopra, in voti, ai socialisti del PSOE ai quali Iglesias chiede di allearsi per formare un governo. Sanchez, Psoe, che ha finora privilegiato l’intesa con Ciudadanos – formazione che vuole rinnovare la destra liberista -, continua a dire solo che non si alleerà con i Popolari di Aznar. Le formazioni spagnole sono 4: Popolari, Podemos-IU, PSOE, Ciudadanos. O la sinistra si rinnova, superando le aporie della terza via socialista, o finirà col rinnovarsi la destra con il dialogo Popolari-Ciudadanos. In Spagna i partiti tradizionali, di destra e sinistra, non superano insieme il 50%. E – udite udite – una cosa analoga succederebbe se si votasse oggi persino in Germania dove, scrive El Pais, i sondaggi danno l’SPD al 19,5 e la coalizione pro Merkel al 31%. Insieme fanno appena il 50,5%. I vecchi partiti, assediati e contestati.

Che succede tra Siria e Iraq? A Bagdad – forse ve ne è arrivata l’eco – una manifestazione promossa dal capo sciita radicale Moqtada al-Sadr ha superato i limiti della “zona verde” e occupato per alcune ore il Parlamento. Per chiedere cosa? Che il governo combatta la corruzione, scelga ministri tecnici, non legati alle clientele di partito e ai nuovi ricchi che tutto controllano. Ad Aleppo, intanto si muore: la tregua è un ricordo lontano. Da una parte i bombardamenti dell’esercito di Assad, dall’altra le bombe di al-Nosra, formazione vicina ad Al Qaeda che è stata esclusa – come Daesh – dalle trattative di Ginevra. In mezzo, gli abitanti di quella che un tempo fu la città siriana più ricca. L’ospedale era in zona ribelle, dunque si presume che quella carneficina sia da attribuire al Assad. Intanto istruttori americani e combattenti curdi pare stiano preparandosi ad attaccare Raqqa, capitale del Daesh.

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