Lo hanno torturato ucciso perché non ha fatto i nomi. Dei sindacalisti che aveva incontrato, degli oppositori del regime, degli egiziani che non si sono rassegnati a camminare a testa bassa. Nomi che la polizia di Al Sisi conosceva o poteva intuire. Ma che era importante far confessare a Giulio Regeni, perché tutti sapessero, grazie al tam tam di radio spia o di radio polizia segreta, che “aveva cantato” e che dunque non conviene parlare con lo straniero, che è pericoloso farsi vedere dal giornalista italiano perché questi, prima o poi, cede al potere e ti consegna. Perché reprimere il pensiero non si può, impedire ogni lotta, ogni anelito di ribellione è molto difficile, ma si possono costruire cortine, muri di diffidenza tra le persone, si può soffocare la comunicazione e impedire che le notizie circolino, che facciano massa, e permettano così al ribelle potenziale di guadagnare fiducia sentendosi meno solo. La battaglia sull’informazione è spietata, perché una informazione libera nega alla radice un regime, lo minaccia nella sua sostanza. Ora che il guaio è fatto – e chissà se una denuncia più tempestiva della sparizione di Giulio, accusandone senza infingimenti la polizia di Al Sisi, non avrebbe scongiurato questo epilogo – gli egiziani arrestano “due sospetti” ma negano la trama che li ha armati, le ragioni per cui hanno ucciso. E sta a noi italiani, dall’ambasciatore, al premier, rifiutare con sdegno queste bugie e tali infamie. In memoria di Giulio. “Non è giusto”, titola il manifesto; “L’Egitto insabbia e l’Italia è prigioniera di Al Sisi”, il Fatto; “Preso in piazza dalla polizia”, Repubblica. ”Torturato per le sue fonti”, Corriere della Sera.

Francesco vede il patriarca russo, scrive Repubblica e aggiunge: “svolta storica”. “I disperati in fuga da Aleppo”, in marcia verso un confine che la Turchia ha chiuso, titola il Corriere. All’aeroporto dell’Avana, a Cuba, Francesco e Kyril parleranno innanzitutto dei cristiani perseguitati in Siria, quei cristiani che solo lo zar russo sta difendendo, quel Putin che – dice Le Monde – scatena un “Diluvio di bombe su Aleppo” permettendo alle truppe del macellaio Assad di aver ragione di ribelli fanatici, taglia gole e islamisti. Difficile separare il bianco dal nero, stabilire chi sia, nel massacro medio orientale, il decimo cavalleggeri del generale Custer (che poi non stava affatto dalla parte né del buon diritto né della compassione). Il papa, grande politico realista, sa che il cammino per la pace è lungo e pieno di buche, ma sa anche che il dialogo inter religioso (con gli ortodossi e con i musulmani sciiti, con gli ebrei, con i protestanti e con i sunniti che fossero pronti a dialogare), è una parte della soluzione. Sa anche che la pretesa americana-europea di isolare la Russia è stata un errore ed è ormai una sciocchezza. Dopo tutto, la natura illiberale del regime di Putin è la conseguenza della lotta di Regan e della diffidenza di Woityla per Gorbachov, dell’appoggio a Putin, dell’idiozia di aver detto ai russi “fate come noi” consegnandoli agli oligarchi e portando quella società al collasso, fino al ritorno, inevitabile, di un figlio del KGB.

Due osservazioni. La Turchia di Erdogan è parte del problema: reprime i curdi, ha persino fatto squalificare un calciatore che aveva dedicato i suoi gol al popolo curdo, e non accoglie neppure i profughi sunniti da Aleppo. Europa e Stati Uniti perderanno la battaglia in Medio Oriente se non piegano Ankara e Ryad. Seconda osservazione: mentre il Papa proseguiva il suo personale cammino nell’anno santo che ha dedicato alla Misericordia, a Roma la mummia di Padre Pio, con maschera di silicone, veniva traslata in San Pietro. Francesco, non potendo disfare quello che Giovanni Paolo II aveva fatto (santificando il monaco dei miracoli), lo ha prudentemente indicato alla devozione come confessore, come uomo che perdona. Ma i comitati d’affari che ruotano intorno alla chiesa si sono inventati persino biscotti con le stigmate. La lotta è nella chiesa, tra chi guarda al mondo e chi volge la testa al medio evo.

Renzi come padre Pio, secondo Giannelli. “San Pio tutto”, il titolo della tavola: “Faccio miracoli ma i burocrati della Ue mi vogliono scomunicare perché ho le mani bucate” dice il rignanese con indosso il saio. Miracoli, fino a un certo punto. Leggete Di Vico che dimostra quanto non abbia funzionato (almeno finora) la detrazione della casa. Quanto all’Europa, chi la sta sfidando davvero è il governo di sinistra che si è insediato a Lisbona (Portogallo) e che ha approvato la finanziaria senza il parere preventivo della Commissione. Se Renzi volesse smetterla di giocare all’allievo prediletto della Merkel cui, in cambio, si deve qualche “aiutino” e qualche buon voto non meritato, lo spazio per riaprire il confronto in Europa ci sarebbe. Lisbona. Sanchez, socialista spagnolo, sa che se non governerà con Podemos dovrà tornare al voto e subire una dura sanzione degli elettori. La Grecia di Tsipras, dopo lo sciopero generale, ha bisogno di alleggerire i vincoli insensati del memorandum che le è stato inflitto. Persino Draghi che sfida la Bundesbank ha bisogno di una sponda. A pagina 8 Repubblica suggerisce la mossa: “Leader socialisti riuniti” – il 17 febbraio forse a Parigi -: “Scossa tutti insieme per battere l’austerità”. Saranno fiori? Intanto gli amici del premier bloccano il tesseramento in Sicilia ai seguaci di Cuffaro, dopo aver aperto il Pd siciliano a tanti altri ruderi della destra uguali e peggiori. A Roma, anche Anna Finocchiaro corre in aiuto dei cattodem stregati dal family day: il pasticcio sembra somigliare come una goccia a tanti altri dell’era Renzi. Si dia al governo la delega sulle adozioni del figlio del convivente.

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